Bufera su Margaret Smith Court: una sua opinione sulle giocatrici omosessuali, sempre più presenti nel circuito femminile, ha scatenato unondata di indignazione nel mondo del tennis fino a una richiesta ufficiale, avanzata da Martina Navratilova, perchè le sia tolto il nome da una delle due arene principali degli Australian Open (a Melbourne). Adesso è chiaro chi sia la Court: una tennista straordinaria, razzista e omofoba: così la Navratilova ha commentato le affermazioni dellaustraliana, sostenendo come a suo avviso lex giocatrice non stia semplicemente rilasciando opinioni ma stia tentando di negare a gay e lesbiche il diritto alla parità. Laffermazione, il tennis è pieno di lesbiche, è arrivata nel corso di unintervista alla Vision Christian Radio, nella quale Margaret Court ha spiegato come alcune ricerche effettuate negli Stati Uniti abbiano dimostrato che il 92% di loro ha subito una qualche forma di abuso che le ha portate a essere così. Al netto di questo, che nel tennis femminili l’omosessualità sia presente non è un mistero: Amélie Mauresmo fece coming out a 19 anni e si prese qualche commento poco carino (da Martina Hingis e Lindsay Davenport in particolare), in passato ci furono Maria Bueno – grande avversaria proprio della Court – Jana Novotna e Virgina Wade (la britannica mai apertamente, ma lasciandolo intendere) mentre tra la giocatrici in attività sono noti gli orientamenti di Samantha Stosur e Casey Dellacqua, connazionali della Court.
Al netto anche di questo, le opinioni dellaustraliana sono chiarissime: solo settimana scorsa aveva provato a boicottare la Qantas – compagnia di bandiera australiana – per il suo appoggio a matrimoni tra persone dello stesso sesso, mentre in passato aveva parlato dellomosessualità come di un abominio agli occhi del Signore, e dei bambini transgender come di una opera del diavolo. Personaggio sopra le righe, che dopo la carriera da tennista è diventata ministro di una chiesa conservatrice; vive a Perth e ha 74 anni. Un personaggio sopra le righe, che però in campo è stata una giocatrice pazzesca: la International Tennis Hall of Fame la considera la miglior tennista della storia, per lei parlano i numeri che la pongono come vincitrice del maggior numero di Slam (24) anche se solo 11 di questi sono arrivati in era Open. In più la Court è lunica, insieme a Doris Hart e proprio la Navratilova, ad aver vinto ogni singolo Slam in tutte le categorie (dunque anche doppio e doppio misto), ha centrato il Grande Slam di calendario (nel 1970) e per due volte è tornata a giocare dopo una maternità (smettendo definitivamente a 35 anni e incinta del terzo figlio). Una leggenda vivente, tanto da essere immortalata su un francobollo (come lei Rod Laver) e aver dato il suo nome, appunto, allo Show Court 1 del Melbourne Park che dal 2003 è conosciuto come Margaret Court Arena.
Le sue opinioni in merito allomosessualità erano note da tempo; ad esempio non ha mai digerito il celebre coming out della Navratilova (che non ha mai incrociato sul campo: quando ha smesso, Martina era professionista da un paio di anni), una delle prime sportive di sempre a rivelare il proprio orientamento sessuale; fino a qui però tanto clamore non cera mai stato, anzi la Court era stata presente – e decisamente applaudita – alle celebrazioni per il quarantesimo anniversario della Wta, che aveva invitato tutte le ex numero 1 della classifica. Quando però laustraliana ha parlato esplicitamente del mondo del tennis si è sollevato un polverone: da Samantha Stosur a Nick Kyrgios, passando per Richel Hogenkamp – altra giocatrice che ha fatto coming out – è stato un coro contro la malcapitata Court. Il più pratico è stato Andy Murray: battuta o meno, lo scozzese ha dichiarato che se vogliono togliere il suo nome dallarena lo decidano prima di gennaio, sia mai che qualcuno perda uno Slam a tavolino per essersi rifiutato di giocare lì. In ogni caso, non è la prima volta che il tennis affronta temi del genere: negli anni Settanta fece scalpore la decisione di Renée Richards, allanagrafe Richard Raskind, un chirurgo oculista che diventato donna a 41 anni chiese di poter giocare nel circuito femminile. Alla faccia dei buoni sentimenti la USTA – federazione americana – le negò il permesso; fu la Corte Suprema di New York a rovesciare la sentenza, ma la carriera della Richards si limitò a due finali di singolare e tre di doppio, tutte perse.