Quando a Jelena Ostapenko hanno chiesto se sapesse di essere la prima giocatrice non testa di serie a vincere il Roland Garros, lei prontamente ha risposto: Lo sapevo, e sapevo anche di Gustavo. Che è Gustavo Kuerten, il quale con grande sorpresa di tutti vinceva gli Open di Francia nel 1997, da numero 66 del mondo e semisconosciuto. Ebbene, il trionfo di Guga arrivò nello stesso giorno in cui a Riga, capitale della Lettonia, veniva al mondo la giocatrice che sabato ha sbancato tutte le previsioni francesi, rimontando Simona Halep e vincendo il primo Slam della sua carriera.
Cè una sorta di destino se si pensa che anche la Ostapenko, come Kuerten prima di lei, ha scelto il Roland Garros per mettere le mani sul primo titolo da professionista: entrambi non avevano mai trionfato in precedenza, e Jelena può anche dire di essere la prima lettone di sempre a vincere un Major (Guga era stato preceduto da Maria Bueno, se non altro è stato il primo brasiliano a trionfare a Parigi). Se Kuerten era schizzato al quindicesimo posto del ranking Atp dopo il trionfo francese, la Ostapenko sarà la numero 12 della classifica Wta da lunedì; per il momento le analogie si fermano qui, se non per il fatto che entrambi avevano 20 anni quando hanno vinto il Roland Garros e che nessuno di loro aveva mai vinto un singolo match nel tabellone principale del torneo.
Jelena Ostapenko ha fatto qualcosa di grandioso: ha messo in bacheca uno Slam vincendo cinque match al terzo set, quattro dei quali in rimonta, e alla fine del torneo il dato parla di 299 vincenti che sono quasi 43 a partita. Una giocatrice che non ha ancora limiti: o mette la palla sulle righe o tre metri fuori, e questo è un gioco che necessita di grande concentrazione mentale come ha spiegato molto bene il suo coach Anabel Medina Garrigues, una che in carriera ha vinto dieci dei suoi undici titoli sulla terra rossa e, pur senza fare il salto verso leccellenza, è stata una Top 20 del ranking.
Quello che ha stupito di sabato è stato il modo in cui Jelena ha ripreso per i capelli una partita che aveva sostanzialmente perso: sotto di un set e 0-3 nel secondo, per tre volte la lettone ha fronteggiato una palla dello 0-4 ma, vinto un game cruciale, ne ha infilati poi cinque dei successivi sei chiudendo il parziale e poi dominando il terzo set, nonostante avesse mancato due palle consecutive per salire 1-0. Bisognerebbe aprire un capitolo a parte sulla sconfitta di Simona Halep (un ko che rischia di pesare tantissimo, al netto dei sorrisi e delle parole combattive che la rumena ha indirizzato al suo angolo), ma questa è la storia della Ostapenko che, dopo Petra Kvitova e Garbine Muguruza, diventa soltanto la terza giocatrice nata negli anni Novanta a vincere uno Slam.
Dotata di un rovescio che appare già semi-devastante, e con un Major in bacheca a 20 anni appena compiuti, la lettone dal sorriso contagioso adesso dovrà fronteggiare la pressione di non essere più una sconosciuta, di aver messo in banca due milioni di euro in un colpo solo e di essere attesa al varco della conferma, il solito confine che separa la singola impresa da una carriera da campione. Cè un motivo se, al netto degli infortuni – che sono da tenere in conto – Martina Hingis ha vinto solo 5 Slam nel singolare, se Monica Seles ne aveva 8 appena compiuti i 19 anni e se Ana Ivanovic, campionessa al Roland Garros e numero 1 Wta a 20 anni e una manciata di mesi, non si è più ripetuta.
Il motivo riguarda la gestione della carriera: dal modo in cui ci si allena alla capacità di non accontentarsi ad altro ancora. Oggi è giusto che la Ostapenko si goda il trionfo: ha 20 anni, ha fatto qualcosa di fantastico e si merita ogni singolo complimento che gli arriverà (e che gli è già arrivato). Da domani, quando inizierà la stagione sullerba – per inciso la superficie che preferisce, aveva vinto Wimbledon juniores – anche lei saprà che il Roland Garros dovrà essere un ricordo. Bello e scintillante, ma pur sempre nel passato.