UN 2017 SENZA RECORD

Evento più unico che raro, lanno appena trascorso si è chiuso con un fatto curioso per quanto riguarda lo sport e in particolare il mondo dellatletica: per la prima volta dal 1912, ovvero quando fu istituita ufficialmente la IAAF (Associazione Internazionale delle Federazioni di Atletica Leggera), tra le specialità riservate agli uomini è stato stabilito il record di un anno senza record dato che nessuno dei primati che erano stati stabiliti dodici mesi prima è stato battuto, lasciando sostanzialmente immutato il registro sul quale la stessa IAAF ratifica le prestazioni degne di nota. A dire la verità, una situazione del genere si era già verificata nel lontano 2000, quando però ancora i tempi realizzati su strada non erano riconosciuti a livello ufficiale. Ma come può essere letto questo dato e a cosa è dovuto? E, soprattutto, dopo una continua rincorsa da parte degli atleti a superare -se non proprio a frantumare- i record precedenti, è possibile che si sia entrati nellepoca della fine dei record? In realtà, secondo alcuni commentatori, le cose non stanno proprio così e casi simili si verificano nel mondo dello sport sin dallantichità.



DUE CURIOSI PRECEDENTI

Infatti, al tema si sono già interessati al passato non solo esperti del settore, ma anche luminari della medicina e della fisiologia applicata allo sport come il Premio Nobel del 1922 Archibald Hill (1886-1977): cinque anni dopo aver ottenuto il prestigioso riconoscimento, infatti, il medico britannico aveva pubblicato un intervento sul mensile Popular Science nel quale prevedeva che non ci sarebbero stati più record significativi nelle discipline sulle brevi distanze dato che, a suo dire, la contrazione dei muscoli e dei tendini è già enorme negli atleti; tuttavia, Hill non aveva invece azzardato alcune previsione sulle distanze più lunghe. Come è noto, nello spazio di non molto tempo il mezzofondista finlandese Paavo Nurmi riuscì invece a riscrivere da solo ben 34 record del mondo, a partire dai 1500m fino alla più impegnativa 20 km. Questo è solo un esempio di quellidea della fine dei record che ha un altro antecedente nel 1884, quando sul New York Times, in occasione della celebre Corsa dei Sei Giorni, Patrick Fitzgerald corre per 981 km ma il giornale spiega che è ragionevole pensare che il primato non sarà mai battuto: nel corso dello scorso secolo, la Sei Giorni è stata corsa solo sporadicamente ma è anche vero che Yiannis Kouros, ultramaratoneta greco oggi 61enne, ha corso nel 2005 questa gara per un totale di 1036 km, con un incremento del 7% della distanza percorsa da Fitzgerald 121 anni prima. Dunque, la cosiddetta fine dei record è qualcosa che pare valere per il momento in cui viene formulata ma, sul lungo periodo, non sembra avere un reale riscontro.



I RECORD, L’ILLUSIONE DI OGNI EPOCA DI “TOCCARE IL LIMITE”

Cosa si può dedurre da tutto ciò? Ricollegandosi al caso del parallelismo tra Fitzgerald e Kouros, viene in mente un aforisma di Leonardo da Vinci, secondo il quale la verità è figlia dei tempi e dunque solo il futuro ha la risposta a questioni che probabilmente non possono essere affrontate nel momento in cui se ne parla. Più che domandarsi se certi limiti potranno o meno essere superati, dunque forse sarebbe più corretto ricordare come, nel 2088 a.C., un record stabilito in quello che lattuale diserto iracheno da Shulgi, re dellimpero sumero: per avere gloria immortale, il sovrano fece registrare il suo exploit (correre per 160 km la distanza tra le città di Nibru e Urum in circa 12 ore) in accadico cuneiforme su alcune tavolette dargilla. Se le informazioni in nostro possesso sono esatte, quel riscontro cronometrico non impallidisce affatto di fronte alle 11 ore e 28 minuti impiegate dal russo Oleg Kharitonov nel 2002 sulla stessa distanza: insomma, il re voleva dare al suo popolo, prima di auto-proclamarsi sovrano divino, lillusione di aver raggiunto il limite possibile per un uomo. Ed è proprio questo in cui ogni record consiste: lillusione temporanea (limitata a una certa epoca) di aver toccato quel limite.

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