E’ passata sotto silenzio da noi, guarda caso, l’ultima inchiesta firmata per la tv tedesca ARD dai giornalisti Hajo Seppelt e Jurgen Kleinschnitger sulle Olimpiadi invernali di Pyeongchang di febbraio. Che hanno fatto i due? Hanno trasmesso un documento filmato che mostra in quali condizioni era una delle stanze, in teoria controllata da un addetto, che conteneva le provette con l’urina dei prelievi antidoping. Dopo la disfatta delle precedenti Olimpiadi di Sochi con le famose stanze 124 e 125, in cui attraverso un buco nella parete le provette passavano di mano e dopo la sostituzione dell’urina con quella ripulita ritornavano in deposito magicamente risigillate, il Cio aveva annunciato misure di sicurezza a prova di tarocco nella raccolta antidoping.
Bene, il video mostra la sala d’attesa dove il medico o l’accompagnatore dell’atleta sottoposto al controllo antidoping attendevano la fine dell’operazione. A parte l’assenza di un controllore, si notano contenitori di provette abbandonate sul tavolo, frigo di conservazione con il lucchetto aperto, moduli di accompagnamento compilati eppure sparsi qui e là, dati sensibili in bella vista, incustoditi, kit pronti per nuovi controlli. Insomma, altro che sicurezza! Il report “indipendente” della Wada parla di qualità soddisfacente degli standard di sicurezza a Pyeongchang “a parte qualche caso isolato”, ma le testimonianze raccolte dai reporter di ARD e dal giornale svizzero Republika dicono che quella era la norma, altro che eccezione!
Sono stati solo 4 i positivi su 3100 controlli: il giapponese Kei Saito (short track), lo sloveno Ziga Jeglic (hockey) e i russi Alexander Kruschelnizki (curling) e Nadeshda Sergeyeva (bob). Gli esperti legali consultati dalla ARD e da Republika dicono che con video simili persino questi pochi atleti trovati positivi potrebbero far invalidare il loro test per evidenti condizioni ambientali in cui la catena di custodia delle provette è stata interrotta. Ma probabilmente si sentirebbero rispondere quello che il Tas ha detto a Schwazer due anni fa, cioè che le ripetute violazioni del protocollo del suo test antidoping erano solo “una deplorevole catena di fattori sfortunati”.