E’ senza precedenti la portata dell’attacco che la Casa Bianca ha sferrato la scorsa settimana all’Agenzia mondiale antidoping: tutto il gotha dello sport statunitense mobilitato nella residenza presidenziale contro la decisione di riammettere la Russia nella Wada, con quest’ultima nel mirino: va riformata o basta finanziamenti, detto da chi copre oltre il 13% del budget dell’Agenzia, percentuale raddoppiata se sommiamo le altre 16 ricche nazioni alleate degli americani, che attraverso le loro Agenzie nazionali antidoping si sono schierate sulla stessa linea qualche giorno prima.
La guerra in realtà è contro il Comitato olimpico internazionale. Il Cio infatti, azionista al 50% della Wada, la controlla attraverso il suo vicepresidente Craig Reedie, messo alla guida dell’Agenzia. Ovvio che sia stato proprio il Cio a tirare per la giacca la Wada inducendola a reintegrare i russi. Non a caso gli americani e la Usada parlano di money, perché sanno che sono proprio i soldi la causa principale della riammissione dei russi: da una parte il bilancio in rosso della Wada cui sono venuti a mancare nell’ultimo triennio proprio i finanziamenti da Mosca, dall’altro la tortona dei miliardi di introito dei diritti televisivi che il Cio non può permettersi di vedere impoverita con l’esclusione del mercato russo.
Se dunque, per fortuna, nella “guerra fredda” si è affievolito il rumore delle armi, resta invece sempre rumoroso quello sullo sport. Passato per la fase dei reciproci boicottaggi olimpici, oggi conosce una nuova recrudescenza proprio attorno al sistema antidoping. Vale la pena ricordare che quest’ultima fase comincia dopo le Olimpiadi di Londra, quando la Russia finisce giù dal podio con la metà degli ori olimpici conquistati dagli Usa, mai successa un’umiliazione simile per Mosca, che decide il contrattacco in vista dei Mondiali di atletica dell’anno seguente e delle Olimpiadi invernali di Sochi 2014 con obiettivo finale Rio 2016.
Tra gli investimenti tecnici ed economici messi in campo dai burocrati di Putin ci sono anche quelli per ammorbidire chi controlla le performance: giurie e autorità antidoping. Del resto aveva fatto scuola il piccolo Azerbaigian: dopo un prestito di 9 milioni di dollari all’Aiba (Federboxe internazionale), lo sport azero era stato gratificato nel pugilato con ben 7 qualificati per Londra 2012 e con un paio di medaglie olimpiche, che potevano essere 3 se i giudici non avessero esagerato con lo scandaloso verdetto pro Magomed Abdulhamidov dopo 6 atterramenti subiti dal giapponese Satoshi Shimizu, k.o. mai contati dal giudice turco, poi spedito a casa. Gli investimenti russi sulle giurie si sono visti nel verdetto di Sochi ’14 a proposito del pattinaggio di figura, con il punteggio esageratamente gonfiato di alcuni giudici sull’esibizione di Adelina Sotnikova (oro) a scapito della coreana Kim Yuna (argento). Niente, tutto sommato, rispetto all’esborso fatto per diversi anni dal presidente dell’atletica Valentin Balakhnichev nelle tasche dei dirigenti della Iaaf (finiti poi agli arresti) per coprire le positività al doping dei suoi atleti, spesucce servite a conquistare il primo posto nel medagliere nei Mondiali di Mosca 2013. Vi erano state da parte del governo russo nel triennio 2013-2015 anche elargizioni straordinarie alla Wada, superiori a 1 milione di euro.
Morale: nel giro di un paio d’anni la situazione si era ribaltata e alle Olimpiadi invernali di Sochi erano stati gli americani a scendere giù dal podio con la Russia in vetta al medagliere grazie a ori triplicati rispetto al 2010. Insomma troppo per i rivali di sempre, che non potevano assistere passivi a questa sconfitta. In quel periodo l’Fbi viene a conoscenza che un ex consulente della Rusada ha segnalato svariate volte alla Wada che vi è un ricorso sistematico al doping da parte dello sport russo, tollerato e coperto da chi dovrebbe intervenire a stroncarlo. La Wada resta inerte di fronte alle denunce di Vitaly Stepanov, nel frattempo cacciato dalla Rusada e costretto a fare il taxista per sbarcare il lunario, ma quando anche la moglie Juliya viene squalificata per doping e decide di “cantare”, l’Fbi garantisce protezione in esilio alla coppia e qualcuno la mette in contatto con il giornalista Hajo Seppelt, che da anni firma meritorie inchieste sul doping per la tv tedesca ArD.
Quando a fine 2014 va in onda, il programma fa da detonatore dello scandalo che porta all’istituzione da parte della Wada (adesso sì, guarda caso…) della Commissione Pound e del successivo Rapporto “indipendente” McLaren, basato sulle confessioni dell’ex capo Rusada Rodchenkov (anche lui protetto negli Usa dall’Fbi), le cui conseguenze portano all’esclusione della Russia dai successivi Giochi olimpici estivi e invernali. Messa fuorigioco la Russia, dopo l’evento di Pyeongchang però le alleanze — come abbiamo visto — si rovesciano di nuovo, anche perché prima del via della kermesse coreana gli atleti russi incassano dal Tas l’annullamento di 28 di 42 squalifiche a vita comminate dal Cio e Mosca si era nel frattempo vendicata violando attraverso gli hackers di Fancy Bear i sistemi informatici di Iaaf e Wada, facendo emergere molte magagne che finiscono per mettere in cattiva luce, tra gli altri, i rivali di sempre. In particolare rivelano le TUEs, le esenzioni terapeutiche concesse da Usada/Wada a vari atleti, in alcuni casi una sorta di doping mascherato da abuso di certificato medico: finiscono nel tritacarne la plurimedagliata ginnasta statunitense Simon Biles, le tenniste Serena e Venus Williams, la cestista d’oro a Rio nel basket Elena Delle Donne.
Ultimo atto: la risposta dei giorni scorsi del presidente Wada Reedie agli americani: “Occupatevi piuttosto di far adottare il nostro sistema antidoping alle vostre Leghe professionistiche!”, come dire “nel bordello non ci sono verginelle…”. Già, ma si può evitare che lo sport debba per forza essere un bordello, parte di un gioco di potere sulla pelle degli atleti? Basterà barattare il sì al reintegro dei russi con le dimissioni dal Cio o dalla Wada di sir Craig Reedie per conflitto di interessi? Evidentemente no! Però il tema dell’autonomia della Wada o di un sistema antidoping che non sia vassallo impotente di Cio, Federazioni e governi è vitale e ormai improrogabile, altrimenti il bordello sarà sempre più affollato.