Si sentiva accerchiato Marco Fassone. L’ex amministratore delegato era sicuro che all’interno del Milan da lui guidato vi fosse una talpa. Una spia che forniva ai giornali le informazioni sulle difficoltà della proprietà cinese, le prime crepe diventate poi una falla clamorosa, al punto da portare Yonghong Li a perdere il controllo del club e a lasciarlo nelle mani del fondo Elliott. Da qui la decisione svelata oggi da La Repubblica, quella di ingaggiare una società di investigazione e di pedinare quattro giornalisti, alcuni tra i più credibili e informati sui conti del Milan, quelli che puntualmente svelavano ai lettori le difficoltà di una società che Fassone dipingeva invece come solida. Evidentemente mentendo. Si trattava di Enrico Currò e Luca Pagni di Repubblica, Carlo Festa de Il Sole 24 ore e Tobia Di Stefano di Libero.



FASSONE E I CONTROLLI TRA I DIPENDENTI

Elliott è venuto a conoscenza del fatto che Marco Fassone facesse pedinare i giornalisti quest’estate quando, rilevato il Milan, in società è arrivata una lettera di sollecito di pagamento da parte della Carpinvest srl, l’agenzia investigativa a cui l’ex amministratore delegato si era affidato. C’era, da parte di Fassone, la volontà di scoprire ad esempio da chi era filtrata la notizia che Yonghong Li si era rivolto alla banca d’affare americana Merrill Lynch per trovare un fondo che gli prestasse i soldi o un socio per il club. Non trovando nulla pedinando i giornalisti, Fassone allora mise sotto torchio anche alcuni dipendenti di Casa Milan: vennero sottoposti a controllo gli smartphone, i tablet, ma anche in questo caso la sua ricerca non portò all’esito sperato. Tutto è emerso adesso, a distanza di una settimana dall’esposto presentato da Fassone contro Elliott per il suo licenziamento. Almeno in questo caso non è difficile immaginare chi abbia fornito le informazioni ai giornali…

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