In maniera del tutto inattesa, nel giro di poche ore Milano (versante interista) è diventata il buco nero del peggio del calcio italiano. Prima la vicenda legata a Radja Nainggolan, punito per non aver rispettato le regole di convivenza civile all’interno di una squadra; quindi gli scontri prima del match con il Napoli, con la morte del tifoso travolto da un suv; infine gli insulti di San Siro, con obiettivo Kalidou Koulibaly, difensore senegalese del Napoli. Nell’ordine: un comportamento non professionale da parte di chi è pagato per averlo, il rigurgito della violenza tra tifosi e l’eterno ritorno del razzismo da stadio. Se le medaglie avessero tre facce, racconterebbero il male del nostro pallone.
Un male che spesso si preferisce ignorare, piuttosto che affrontare. Per fortuna ci hanno evitato una stucchevole giornata di stop ai campionati, sarebbe suonata falsa come mille altre di quelle che vengono organizzate sui palcoscenici della serie A, a sostegno di una causa qualsiasi. L’effetto è quello vetrina: tante parole, tanti gesti, zero effetti. Fa figo e non impegna. L’ultima contraddizione? Gli insulti a sfondo sessista a danno di Cristiana Girelli, attaccante della Juventus femminile, lanciati da un gruppo di sostenitori della Fiorentina nel match giocato a Firenze. Il tutto un mese fa, il 25 novembre, domenica in cui negli stadi si celebrava la Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne, con tanto di sbaffi rossi sulle guance di giocatori e allenatori.
Il problema, in Italia, è che tutti proclamano di essere contro i mali del calcio, ma nessuno ha il coraggio di operare con decisione come fanno altri. Un esempio? Guardate quanto è capitato in Premier League a inizio dicembre, quando un gruppo non di scalmanati da curva, ma di normali tifosi del Chelsea ha preso di mira Raheem Sterling, con tutto l’armamentario tipico degli insulti del perfetto razzista. I quattro sono stati filmati, individuati e puniti con la sospensione dell’ingresso a Stamford Bridge, fino a quando non saranno chiariti con esattezza i fatti. E vogliamo parlare di chi definiva una forzatura River Plate-Boca Juniors disputata a Madrid? Una soluzione necessaria, dopo l’agguato vigliacco al pullman dei giocatori del Boca, diventata una lezione salutare da mandare a memoria.
Ci vorrebbero progetti seri per estirpare la violenza nel calcio italiano, dove tutto viene invece lasciato all’iniziativa personale: guardate il rimbalzo di responsabilità su chi e come avrebbe dovuto sospendere il match di San Siro al primo reiterarsi degli insulti a danno di Koulibaly. Carlo Ancelotti dice che la prossima volta il Napoli si fermerà. Giusto e sbagliato: giusto, perché occorre lanciare un segnale forte; sbagliato, perché non devono essere giocatori e tecnici a farlo, ma chi detiene le redini del potere. Un potere che, per troppo tempo, è stato in mano a commissari vari, per l’incapacità del calcio di saper dotarsi dei propri organi di governo. Un potere in mano a presidenti che preferiscono seminare sospetti piuttosto che assumersi responsabilità. Oggi viene messa in dubbio anche l’oggettività del Var quando, da altre parti, la tecnologia che aiuta gli arbitri non viene mai posta in discussione.
Un potere incapace di scrollarsi di dosso anni di connivenza e complicità con le tifoserie. Le stesse che, in passato, servivano per regolare conti interni: bastava assicurare un po’ di biglietti da gestire e l’alleanza veniva sancita. Il guaio è che in Italia tutti conoscono tutti e diventa complicato intervenire. A cominciare da un ministro dell’Interno che si presenta al raduno della Curva Sud del Milan, dove si fa fotografare sorridente assieme a molte di quelle persone che individuano proprio nelle forze dell’ordine il nemico da combattere. Ma questa è l’epoca dell’insulto diventato forma di governo e dell’incompetenza che rinfaccia un “questo lo dice lei” a chi fa notare gli errori: le curve si sono trasferite sugli scranni del parlamento, con la politica che ha saputo imitare solo il peggio del pallone.
Per azzerarne gli influssi negativi si dovrebbe operare a troppi livelli. “Vaste programme”, come diceva il generale De Gaulle a chi gli chiedeva l’eliminazione degli imbecilli. Almeno ci hanno risparmiato una giornata di stop, con tanto di riflessione e di autocoscienza. Avrebbe avuto il solito retrogusto farisaico.