L’undicesimo Roland Garros, la difesa della prima posizione mondiale, una lezione di immortalità: tutto in un pomeriggio per Rafa Nadal, che con il 6-4 6-3 6-2 a Dominic Thiem diventa “ufficialmente” (cioè considerando anche quanto avvenuto prima del fatidico 1968) il giocatore ad aver vinto per il maggior numero di volte un singolo Slam, agganciando Margaret Court che ha in bacheca 11 Australian Open – ma appunto solo 4 dopo l’era Open. I numeri di Nadal sono leggendari, e ripeterli a profusione non fa che aumentare le vertigini: quest’anno lo spagnolo ha perso un solo match sulla terra rossa, glielo aveva portato via proprio Thiem a Madrid. Lì però giocavamo al meglio dei tre set, gli impegni erano ravvicinati e Rafa in questi contesti ha sempre concesso qualcosa (solo nel 2005 ha vinto tutti i tornei sul rosso cui abbia partecipato); sulla distanza dei cinque set il numero 1 ha dimostrato una volta di più la sua imbattibilità. A premiarlo quest’anno è stato Ken Rosewall, un signore che oggi ha 83 anni ma che quando giocava ha messo insieme otto titoli dello Slam – due agli Open di Francia – e che probabilmente ne avrebbe incamerati di più se non avesse deciso (come altri, tra cui il connazionale Rod Laver) di passare al professionismo con una decina d’anni di anticipo. Ricevuto il trofeo, Nadal si è anche emozionato fino a dover trattenere un paio di singhiozzi: sempre emotivo e “sanguigno” nelle esultanze, le lacrime parigine ci mostrano lo stesso lato di una medaglia che condivide con Roger Federer, due campioni che hanno vinto tutto e in più modi, hanno un’età alla quale molti colleghi hanno appeso la racchetta al chiodo da tempo eppure sono ancora capaci di non dare per scontati titoli e trofei, che magari sarà una frase fatta ma è la differenza tra chi ha 17 (o 20) Slam e chi non ne ha mai raccolti pur avendo il talento per farlo.



ARRIVA WIMBLEDON

Adesso arriva la stagione sull’erba, e per Nadal sarà sicuramente una sfida diversa ma altrettanto affascinante: sembrerà incredibile, eppure lo spagnolo non supera gli ottavi a Wimbledon dal 2011 (perse la finale contro Novak Djokovic) e per lui il verde dell’All England Lawn & Tennis Club, dove in quella famosa finale del 2008 ha ufficialmente iniziato la sua epopea di giocatore “universale” e tra i grandi, è una ferita aperta da quel giorno in cui il tetto centrale si chiuse sulle sue speranze aprendo invece la favola (durata pochissimo) di Lukas Rosol. Naturalmente non ci aspettiamo che il numero 1 domini anche a Londra: tornerà Federer e il favorito d’obbligo non potrà che essere lui, e sarebbe sbagliato e troppo sull’onda del momento affermare che questa versione di Nadal sarà esattamente la stessa che vedremo sull’erba, perchè non sarà così. Intanto però Rafa quello che doveva fare lo ha fatto: ha vinto a Montecarlo, Barcellona, Roma e Roland Garros inanellando un’altra stagione pazzesca sull’erba. C’era un altro giocatore che conosceva ogni singola imperfezione dei campi in terra, e si chiamava Bjorn Borg: la storia non ci sa dire cosa avrebbe fatto se avesse continuato fino a 32 anni, la realtà dei fatti è che a 26 lo svedese si era stufato di giocare. Anche questo va a merito dello spagnolo, come dicevamo già prima.



LO SCONFITTO

Dominic Thiem era alla prima finale Slam: nel discorso dello sconfitto ha ricordato che quando Nadal vinceva il primo Roland Garros (era il 2005) era davanti alla televisione e aveva 11 anni, e non si sarebbe mai sognato di essere un giorno in campo contro di lui per un titolo Major. Ci è arrivato, ed un punto di partenza ampiamente meritato: diciamo la verità contro chiunque altro l’austriaco avrebbe vinto gli Open di Francia e non è una frase che tutti gli altri finalisti sconfitti da Rafa possono dire. Thiem, lo avevamo detto nei giorni scorsi, su questa superficie, può arrivare a dominare: magari non quanto lo spagnolo, ma certamente al punto di inanellare qualche Slam parigino dopo due semifinali e una finale. Il suo ranking non migliora troppo (scala una posizione e diventa settimo): è la conferma che i campi rossi di Parigi sono diventati una sorta di seconda casa da tempo, adesso lo aspettiamo al salto di qualità in altri contesti a cominciare dall’erba. Intanto però la sua finale, unita ai risultati di Alexander Zverev nei Master 1000, ci dice che una nuova generazione di grandi giocatori è pronta a darsi battaglia: se c’era quasi timore nel vivere un tennis senza più i Big Four, i risultati parigini di Thiem sono un ottimo biglietto di presentazione di un futuro al quale ormai non manca più molto. Nadal permettendo, ovviamente.

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