Quando si parla di Wimbledon, il torneo di tennis sullerba di Londra che sta per avvicinarsi e si giocherà a cavallo di giugno e luglio, non si può fare a meno di parlare di Bjorn Borg, lo strepitoso svedese che vinse cinque edizioni consecutivi e lanno seguente, dopo aver perso contro John McEnroe una finale agli Us Open, si ritirò di punto in bianco senza dire nulla a nessuno. Oggi Borg e il tennis sono due elementi che si piacciono e magari si corteggiano, ma sono distanti: era chiaro nel momento delladdio che la passione si era spenta, e questo sarebbe stato valido anche per le tribune, occupate come spettatore o coach. Non cè dunque da stupirsi se oggi che il figlio Leo (avuto dalla terza moglie Patricia Ostfeldt) si affaccia alla fama internazionale, Bjorn preferisca osservarlo da lontano e, in unintervista rilasciata a Le Parisien – e come si legge su agi.it – abbia già condannato gli allenatori invadenti, sostenendo di essere pronto a elargire consigli ma non volendo per nulla al mondo sostituirsi allallenatore. Mi vedo più come un padre che come un ex campione, è questa la cosa più importante: le pressioni, Leo Borg le ha già per il cognome che porta: lui stesso racconta che quelle quattro lettere sono un peso mica da ricedere, ma papà ha fatto un passo indietro e mi ha messo nelle mani di un coach. Queste parole le ha rilasciate al Corriere della Sera, che svela anche di un accordo con lo sponsor Fila. Che non è una cosa da poco: è lo stesso marchio che Bjorn indossava sulle sue magliette da gioco.



CHI E’ LEO BORG

Diciamo la verità: a oggi, Leo Borg non ha ancora fatto granchè. Certo ha vinto una serie di tornei giovanili, è il numero 1 di Svezia per la sua categoria ed è nella Top 20 europea, ma tantissimi coetanei hanno classifiche simili senza suscitare troppo clamore, e sicuramente fa più notizia il fatto di aver recitato nel film d Janus Metz che racconta la rivalità del padre con McEnroe, peraltro avendo partecipato ai provini (ne ha fatti cinque) come chiunque altro. Sul lato tecnico, cosa si può dire? Poco altro, se non che il rovescio è ovviamente a due mani: fu di fatto Bjorn che lo introdusse nel circuito Atp, spinto dal suo allenatore a colpire la palla con maggiore violenza per essere ancora più devastante da fondo campo. Leo si è dunque calato nella parte del padre adolescente: unepoca in cui la faccia immutabile in campo, la calma olimpica e il ghiaccio nelle vene non erano nemmeno idee embrionali, visto che il ragazzo che sarebbe diventato un campione sfasciava racchette, urlava e strepitava. A un certo punto Borg iniziò a vincere e vincere, ma ci metteva così tanto furore agonistico e intensità negli allenamenti e in partita che gli dissero che nel giro di qualche anno il tennis gli sarebbe venuto a noia e forse in odio. Andò così, ed è anche per questo che papà Bjorn oggi non vuole mettere troppe pressioni al figlio, che tra qualche stagione ne avrà già a sufficienza. Forse, questo è anche il motivo per cui nel mondo del tennis (che è molto particolare, per svariati motivi) non si ricordano a memoria genitori campioni che abbiano generato figli campioni. Che questa sia leccezione che conferma la regola?



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