La cosa più sorprendente dopo la rivelazione dei valori assolutamente anomali nel DNA delle urine di Alex Schwazer non è stata l’assenza totale di messaggi di solidarietà pubblici o privati da parte di atleti, dirigenti o rappresentanti delle istituzioni sportive nei confronti del marciatore italiano; e neppure il silenzio mediatico di quegli organi di informazione (cartacea o televisiva) che a suo tempo lo avevano sbattuto in prima pagina additandolo come vergogna d’Italia e apostrofandolo (addirittura prima delle controanalisi) frettolosamente come ‘bugiardo incallito’ o ‘malato bipolare’.



No! Queste non-reazioni e questi silenzi erano scontati, siamo uomini di mondo e sappiamo che ‘tutti tengono famiglia’… Quello che sorprende semmai è il commento secondo cui la sperimentazione che il Colonnello dei carabinieri Giampietro Lago sta conducendo su 100 volontari ‘vale poco o nulla’, commento attribuito dal giornale TAGESZEITUNG all’avvocato rappresentante in Italia della Agenzia Mondiale Antidoping (WADA) , Marco Consonni, giudizio espresso sulla base di un non meglio precisato studio della WADA di maggio secondo cui le differenze tra provetta A e B non proverebbero niente, men che meno la manipolazione delle urine. Tale presa di posizione è interessante ai fini investigativi. Vediamo perché.



I test che sta conducendo l’equipe di Lago hanno due finalità: Stabilire in uno spazio temporale quanto sia percentualmente il degrado della presenza di DNA in un urina congelata Verificare se vi siano differenze di degrado di DNA tra il campione A e il campione B Ora, chi ha già prodotto letteratura scientifica sull’argomento (punto 1) finora sono stati alcuni laboratori, tra i quali quelli di Tokyo e (udite, udite…) di Colonia, entrambi accreditati dalla WADA ! Dunque, senza entrare nel merito del dibattito scientifico, appare comunque evidente che screditare a priori come del tutto inutile una sperimentazione di questo tipo è come accusare i tuoi laboratori di scarsa professionalità: un clamoroso autogol della WADA! Ma c’è di più.



Cosa sa la WADA delle analisi e delle sperimentazioni del RIS se alle riunioni dei periti il proprio esperto non si è mai presentato? L’unica volta che lo si è visto è stata durante la riunione iniziale che stabilì semplicemente la calendarizzazione e, detto per inciso, ‘l’esperto WADA’ non era neppure un genetista, ma un valido analista-statistico ben introdotto nei temi del passaporto biologico, che dirottò la propria presenza nell’altra commissione, quella chimica-tossicologica. Da chi dunque ha assunto le informazioni la WADA sui risultati della commissione? Presumibilmente dalla Federazione internazionale di Atletica (IAAF) che aveva il suo perito genetista sempre presente in commissione.

E qui viene la terza osservazione. Questo disinvolto, fin dall’inizio sul caso Schwazer e non solo, camminare a braccetto della WADA con la IAAF è compatibile con la indipendenza e imparzialità sbandierata nella mission della WADA? E’ così che si muove un’autority che dovrebbe essere soggetto autonomo rispetto alle Federazioni e agli atleti? E’ per questa intercambiabilità di ruoli che il presidente dell’antidoping IAAF (la sigla è AIU), per 13 anni direttore generale della WADA, non ha mosso un dito di fronte alla condanna penale di un suo dipendente, reo di complicità col doping, nel processo di Bolzano? Ed è per lo stesso motivo che non ha battuto ciglio di fronte al fatto che il direttore della sua struttura sia andato a testimoniare a favore del condannato? Domande, che di questi tempi purtroppo appaiono retoriche…