Si sentiva invincibile: un metro e novanta di energia con il sogno di giocare in un grande club di calcio. E infatti Francesco Acerbi fu acquistato dal Milan. Ma faceva anche “casini”: dormiva poco la notte, andava in giro per locali e beveva. «Sì, tanto alcol. Anche se poi sul campo andavo lo stesso forte». Quel fisico lo ha aiutato quando ha scoperto di avere un tumore. Aveva da poco terminato la sua esperienza nel Milan, nel 2013. Da una normale visita di controllo da parte dei medici scopre di avere un nodulo. «Sono stato operato immediatamente». Era un tumore a un testicolo. Ma non è stato quello il momento in cui Acerbi ha capito di non essere un invincibile. «L’avevo capito già al Milan. Se non fai una vita da atleta a quei livelli si paga il conto». Il tumore scoperto successivamente è stato un colo che ha avvertito nel profondo della sua anima e lo ha riavvicinato alla famiglia e al calcio, permettendogli di ritrovare la passione. «Può sembrare strano ma che nella vita volessi fare davvero il calciatore l’ho capito dopo la malattia», ha raccontato il difensore della Lazio, come riportato al Corriere della Sera.



FRANCESCO ACERBI E IL TUMORE: “HO TROVATO LA FEDE, MA NON SONO UN SANTO”

Quel sogno che coltivava da bambino si è materializzato per Francesco Acerbi quando è uscito dall’ospedale. «Per molti anni ho dato tutto grazie alle doti che mi ha regalato la natura. Giocavo ma forse la passione l’avevo perduta. Mi è ritornata». Ora questa passione non la mette solo a disposizione della Lazio, ma anche dell’Airc, l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro. «Mia mamma, la migliore delle madri, mi coccolava eccessivamente, mi faceva andare in bestia». Aveva bisogno di normalità, di non sentirsi malato, ha spiegato come riportato dal Corriere della Sera. «Mio fratello è stato fondamentale». I dottori gli dissero che tutto si sarebbe risolto, ma non fu così. «Dopo altri controlli mi dissero che con il tumore non si sa mai, si può espandere. Meglio fare la chemio. La feci». Era preoccupato per i suoi familiari, non per se stesso. Lui continuò a fare una vita normale. «Ho pensato: così si sconfigge il male. Ero sicuro di guarire». A questa visione pratica della vita ha aggiunto una più spirituale. «Prego due volte al giorno. Al mattino e alla sera. Però non è che sia diventato santo. Di casini ne combino ancora. Ma rispetto a prima ora so chi sono. Distinguo il bene dal male. So di chi posso fidarmi. E ho allontanato le persone che considero negative».

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