Chi scrive aveva in gestazione questo pezzo da tempo. Il fatto di averlo “prolungato” fino all’inizio di gennaio torna comunque utile perchè, parlando di basket NBA e nello specifico di Los Angeles Lakers, nel frattempo sono concorsi due fattori che contribuiscono a rendere lo scritto ancora più attuale. Primo, l’avvicinarsi della trade deadline di febbraio, ovvero il limite entro il quale le 30 franchigie possono effettuare scambi sul mercato; secondo, l’infortunio di LeBron James che ha privato i gialloviola del loro leader. L’articolo in questione ha uno scopo ben preciso: provare a leggere le possibili mosse di Magic Johnson e Rob Pelinka per rendere davvero i Lakers una squadra che possa tornare a vincere un titolo che manca dal 2010. Operazione complessa perchè, come si è sempre detto in tempi non sospetti, il mercato NBA segue strade tortuose e complesse che non si limitano al “voglio tizio, offro X e me lo prendo”; tuttavia, qualche analisi è comunque possibile.



Nel momento in cui scriviamo, i Los Angeles Lakers hanno un record di 22 vittorie e 19 sconfitte: ottavi a Ovest, giocherebbero i playoff ma per il rotto della cuffia. Senza LeBron James, infortunatosi a Natale con la squadra quarta nella Western Conference, sono 2-5: il record parla chiaro, e ci dice che la necessità di affiancare un altro All Star (o chiamatelo come volete) al Re è impellente se si vuole vincere subito, e che comunque in prospettiva 2019-2020 dovrà essere il primo punto all’ordine del giorno. Non che i californiani non ci abbiano provato; però Kawhi Leonard, Paul George e Jimmy Butler, per citare i più papabili, hanno scelto altre destinazioni. In estate, quando James ha ufficialmente sposato la causa gialloviola, Magic e Pelinka hanno seguito una strada ben precisa: invece di andare all-in su un’altra stella, hanno scommesso sul fatto di avere in casa il potenziale secondo violino. Sarebbe dovuto essere Brandon Ingram, e può esserlo ancora; tuttavia il prospetto di Duke sta mostrando di non essere ancora quel tipo di giocatore, come raccontano le statistiche – che da queste parti fanno tanto – con o senza LeBron sul parquet. Vale a dire: quando il Re è in campo, Ingram tende a limitarsi al compitino.



Negli ultimi anni, i Lakers hanno avuto per tre volte consecutive la seconda scelta assoluta al draft: prima e dopo Ingram sono arrivati D’Angelo Russell e Lonzo Ball. Il primo è stato sacrificato per fare spazio al secondo; in più l’arrivo del Re allo Staples Center ha portato alla selezione di veterani (da Lance Stephenson a Rajon Rondo passando per JaVale McGee, Michael Beasley e, a stagione in corso, Tyson Chandler) che potessero dare una mano con la loro esperienza. Tutti ottimi nel loro contesto, nessuno di loro capace di prendere in mano la squadra e sgravare il numero 23 di qualche responsabilità offensiva. Servirebbe, per entrare nel concreto, il Kyrie Irving del 2016, quello capace di farne 40 o segnare il tiro della vittoria in gara-7 su campo avverso: i nomi ci sarebbero e ci arriveremo, ma prima i Lakers devono capire quali pezzi sacrificare nel loro scacchiere.



Dando quasi per assodato che Kyle Kuzma (vero e proprio “steal of the draft”) è intoccabile e che Kentavius Caldwell-Pope (avrebbe chiesto maggiore spazio) e Josh Hart (in crescita e dunque appetibile) saranno inseriti in qualunque modo nel pacchetto, la dirigenza dei Los Angeles Lakers potrebbe e dovrebbe essere costretta a cedere uno tra Ball e Ingram. Capire chi dei due confermare è difficilissimo: Ingram ha un potenziale spaventoso ma anche i difetti di cui sopra e non può essere aspettato in eterno, Ball ha evidenti limiti al tiro (come tutta la squadra) e va capito se la sua utilità nelle piccole cose (difesa sulla palla, assist e versatilità) possano renderlo intoccabile anche accettando che non sia una macchina da tripla-doppia o l’incarnazione di Jason Kidd. Chiaramente il figlio di LaVar non può essere il secondo violino alla Irving (o alla Scottie Pippen, l’esempio che sempre viene fatto); cosa che può essere Ingram, il che farebbe pendere la bilancia dalla sua parte se non fosse che con il suo sacrificio potrebbe essere più semplice arrivare all’agognato All Star. Qualche nome? Forse l’ideale sarebbe davvero Anthony Davis ma per lui i Boston Celtics sarebbero pronti a fare follie; tra i piccoli si sono spesi i profili di John Wall e Kemba Walker, ma uno non è esattamente l’ideale tecnico per giocare con LeBron e l’altro è tutto da verificare in ottica playoff.

A dirla tutta ci sarebbe una terza via, aperta da quanto James diceva in estate (non è necessario vincere subito, del resto il Re ha firmato un quadriennale): aspettare la free agency del 2019 e provare a implementare il roster senza dover rinunciare a una delle seconde scelte. Il rischio esiste, ovvero che i giocatori seguiti vadano altrove; certo se hai il Re dalla tua diventa tutto più facile, ma per esempio George ha scelto di rimanere a Oklahoma City e la cosa potrebbe ripetersi. Sull’ipotesi dell’attesa però pesa un altro fattore: a oggi i Golden State Warriors restano semi-imbattibili sulle sette partite di una serie, e dunque si potrebbe aspettare lo smantellamento nella Baia. Il che potrebbe essere legato ai destini dei Los Angeles Lakers, non tanto per un eventuale super team con Kevin Durant in gialloviola (l’ipotesi è stata ventilata in passato e resta comunque attuale) ma per un arrivo di Klay Thompson: chi vivrà vedrà come si suol dire…