Ci aveva già provato, la Pro Piacenza, a evitare l’inevitabile qualche giornata addietro. Il 20 gennaio aveva tentato il blitz per giocare in casa con l’Alessandria e allontanare l’inizio della fine di una crisi nota a tutti. L’idea di creare una squadra dal nulla, rastrellando tra chi era rimasto del settore giovanile ed eventuali ragazzi pescati in giro, era stata stoppata sul nascere dalla Figc, che aveva bloccato il match. Situazione sterilizzata, sospese le partite degli emiliani.



Ma in settimana, quando la Federcalcio ha dato il via al ritorno in campo della Pro pensando a una sua mancata presentazione, è iniziata la caccia per allestire il gruppo. Raccogliticcio e improponibile, ma sufficiente per evitare la quarta rinuncia consecutiva e, quindi, l’esclusione dal torneo.

È nata così la farsa di Cuneo, con una squadra di soli otto giocatori (uno di questi il massaggiatore) che perde 20-0. Un risultato che fa il giro del mondo, puntando il dito sul calcio italiano. Un calcio che non ha saputo correggersi, nonostante i proclami di rinascita a ogni fallimento della Nazionale.



E non è stata solo colpa di chi deteneva le leve del potere, regolarmente eletto. La vicenda Pro Piacenza è figlia dell’ultima crisi e della tanto invocata gestione commissariale, che ha permesso l’iscrizione a una società che non aveva alcun diritto a prendere parte al campionato. Una vicenda di cui tutti sapevano, ma in cui nessuno ha avuto il coraggio (o la forza) per mettersi di traverso.

Lunedì pomeriggio è arrivata la decisione drastica. Il giudice ha escluso la Pro dal campionato, per violazione delle regole di lealtà e correttezza, mentre la Figc ha revocato l’affiliazione. Ma il caso del club emiliano è la punta dell’iceberg di un sistema che non ha gambe su cui reggersi. Sono troppe le società professionistiche nel calcio italiano, per poter sopravvivere dignitosamente. Negli ultimi 15 anni sono fallite in 150. L’anno scorso la serie B ha perso in un solo colpo Avellino, Bari e il retrocesso Cesena. Nella stagione attuale la serie C ha salutato, oltre alla Pro Piacenza, anche il Matera, mentre Cuneo, Lucchese, Arzachena, Triestina, Juve Stabia, Trapani, Monopoli, Reggina, Rende, Siracusa e Rieti sono state penalizzate per mancato rispetto dei pagamenti. I soldi non ci sono e si chiude inesorabilmente.



Colpevole chi governa il calcio e colpevole chi difende i giocatori, impedendo la riduzione degli organici e disseminando false speranze di professionismo. Inutile lamentarsi di un calcio che non ha più bandiere o non regala più favole di provincia: pochi sono i mezzi e troppe le bocche da sfamare. Qui serve realmente una decrescita felice, non quella di cui straparla chi ci governa.