Chi l’avrebbe mai detto? Di sicuro, nessuno prima del 21 gennaio, data di inizio della Coppa d’Africa. Pochi anche ieri sera, prima che il rigore di Sunzu gonfiasse la rete e facesse impazzire un’intera Nazione. Eppure lo Zambia, contro tutto e contro tutti, è campione d’Africa per la prima volta nella sua storia, alla terza finale. Un successo meritato se guardiamo al campo: lo Zambia di questi 20 giorni è piaciuto per la grande organizzazione tattica studiata dal francese Hervé Renard, uno che è emigrato a Lusaka rinunciando a contratti più danarosi in luoghi calcisticamente più evoluti. Un 3-5-2 di base che a seconda delle esigenze si trasformava in un 5-3-2 o, come ieri sera, in un classico 4-4-2; questo senza mai rinunciare ad attaccare, a cercare la ripartenza veloce, a scatenare l’incredibile velocità di Mayuka. Lo Zambia ha compiuto tre imprese. Prima, quella di aver vinto una Coppa con un budget inferiore a quello di squadre di LegaPro italiane. Seconda, quella di aver battuto Ghana e Costa d’Avorio in successione senza subire un solo gol (Mweene chiude la competizione con un’imbattitibilità in corso di 432 minuti, inferiore solo a Barry della Costa d’Avorio che non ha preso reti in tutto il torneo). Terza impresa, quella di aver mostrato al mondo intero che a volte nomi e blasoni servono a poco. Una lezione soprattutto per la Costa d’Avorio, che è venuta qui con il complesso della squadra più forte degli ultimi 20 anni che non ha mai vinto nulla, e anche ieri sera si è squagliata come neve al sole di fronte ad un avversario più modesto. Qui però sbaglierebbe chi pensasse che la finale l’hanno buttata via gli ivoriani. Vero, Drogba ha calciato in cielo un rigore che avrebbe ammazzato la partita, e Yaya Toure ha avuto la palla buona nel primo tempo ma l’ha mandata fuori di un millimetro; ma i meriti dello Zambia sono evidenti. Innanzitutto quello di essersela giocata senza timori reverenziali, coinvolgendo sempre le fasce con Kalaba e Chansa e attaccando la Costa d’Avorio in velocità (prova ne sono le due colossali occasioni avute da Sinkala e Chris Katongo, nonchè il salvataggio di Kolo Toure su un Mayuka ormai in porta). Poi, e questo è forse ancora più importante, i “Chipolopolo” (letteralmente “Proiettili di rame”, per la presenza di molte miniere nel Paese) hanno bloccato tutte le fonti di gioco degli ivoriani, spezzando alla radice il fraseggio di Drogba e compagni ed evitando quindi di fare barricate insensate davanti all’ottimo Mweene. Due esempi: Kalou ieri sera ha inciso zero, al punto di essere sostituito da Zahoui quasi per disperazione: Lungu l’ha imbrigliato alla perfezione. E Yaya Toure, uno che quando parte in progressione solitamente spazza via anche gli spettatori, è uscito con il mal di testa e senza averci capito niente, merito di Nathan Sinkala, 20 anni, uno che non gioca certo nel multimilionario Manchester City ma nei Green Buffaloes locali. Per non parlare di Drogba, stretto nella morsa di Himoonde e Sunzu e mai pericoloso. 



Insomma, un successo meritato, anche perchè i rigori saranno pure una lotteria, ma devi saperli tirare ed essere freddo quando conta. Lo sono stati i calciatori dello Zambia (tranne Kalaba, che però in tutta la competizione è stato forse il migliore dei suoi), non gli ivoriani. Insomma, dalla sera in cui battè a sorpresa il Senegal a ieri, lo Zambia si è meritato tutto. Nove gol realizzati ne fanno il miglior attacco della competizione (alla pari con la Costa d’Avorio), alla faccia del catenaccio e del difensivismo; e le ultime quattro partite senza subire gol dimostrano che, quando c’è stato bisogno, lo Zambia ha chiuso la porta come una grande squadra. Quello che da ieri lo Zambia è senza ombra di dubbio: nell’albo d’oro scrive una Coppa d’Africa, esattamente lo stesso numero che ha la Costa d’Avorio dei campioni “europei”. E l’anno prossimo, in Sudafrica, la squadra da battere sono loro.



 

(Claudio Franceschini)

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