Il malore che sabato scorso ha colpito Fabrice Muamba durante la partita Tottenham-Bolton ha scosso il mondo intero. Tantissime le manifestazioni di affetto per l’inglese di origine congolese che, ricoverato al London Chest Hospital, migliora di giorno in giorno. Le reazioni che si sono succedute vanno da magliette con frasi di incoraggiamento indossate dai calciatori, tweet in cui si chiedeva di pregare, messaggi di solidarietà. Più volte le televisioni hanno riproposto un Van Der Vaart che, a mani giunte, sembra pregare, e la fidanzata dello stesso Muamba, Shauna, ha scritto sul suo profilo Twitter “Dio non dà mai un peso più grande di quanto possiamo sopportare”. Ci si chiede: si tratta di un espressione sincera di religiosità, oppure la superstizione, la mitomania o altro di simile hanno avuto il sopravvento? Abbiamo chiesto un’opinione in merito a Roberto Perrone, giornalista de Il Corriere della Sera. Ecco quello che ci ha raccontato, nell’intervista esclusiva rilasciata a ilsussidiario.net: 



La vicenda di Muamba ha avuto grande impatto mediatico: le immagini in televisione, i tantissimi tweet, i messaggi… soprattutto dal punto di vista religioso. Lei cosa pensa? Mitomania, o preghiere sincere?

Io sono contro il luogo comune, quindi contro il fare di tutte le erbe un fascio. Sicuramente c’è un lato melenso ed emotivo di tutta la vicenda, che appartiene al calcio e alla nostra vita quotidiana; quando si è di fronte ad un avvenimento del genere – e ricordiamo che ormai siamo in un mondo in cui la televisione mostra tutto in tempo reale – c’è sicuramente questo aspetto, ma poi ci saranno anche, tra quelli che si sono messi le magliette con la scritta “Preghiamo per te” e chi l’ha scritto su Internet, quelli che hanno pregato davvero e si sono sentiti coinvolti nella vicenda a livello religioso.



Del resto, il calcio è un aspetto della vita umana.

Anche se la scristianizzazione della società è ormai abbastanza evidente, fortunatamente ci sono ancora moltissimi che credono e hanno un sentimento religioso forte. Poi certo che ci sono quelli che dicono “Non è vero ma ci credo”, perché non si sa mai… ma io credo che ci siano anche delle reazioni vere.

Il medico del Bolton ha detto: “Muamba è stato morto per 78 minuti”; eppure, il calciatore sembra star bene. Si può parlare di miracolo, nel senso cristiano del termine?

Sicuramente ci sono dei segni, come ci insegna la storia; specialmente per un cattolico, come io sono, la preghiera è ciò che ci ha insegnato Gesù Cristo: “Pregate il Signore, chiedete e vi sarà dato”. A volte, la preghiera fa anche i miracoli, di questo sono convinto. Indubbiamente, se quest’uomo riuscirà a uscirne, penso si possa dire che molto probabilmente le preghiere vere, ma forse anche quelle finte, sono state ascoltate.



Quello di Muamba non è il primo caso di un calciatore che si è sentito male in campo: per lei è una casualità o c’è di mezzo qualcosa di più?

Io sono garantista, di quelli veri: in mancanza di prove, devo pensare che si tratti di cose che succedono, nella vita normale come nel calcio. Può succedere per disfunzioni singole dei calciatori, di singoli problemi: c’è gente di 30 anni che si sente male, succede, perciò non vedo perchè non possa succedere anche nel mondo del calcio e dello sport.

Quindi, non è un problema di doping?

Guarda, non escludo che il doping esista, ma ti faccio un esempio: negli ultimi 15 anni la Juventus da questo punto di vista è stata la più chiacchierata: ha subito un processo, è stata condannata in primo grado per doping, poi assolta in secondo, poi il fatto è caduto in prescrizione; eppure, quei calciatori coinvolti godono tutti di ottima salute.

Perciò…

Perciò, a volte le malattie non sono necessariamente legate al doping. C’è un po’ questa mitomania per cui l’assunzione di farmaci più o meno legali causi delle malattie, ma non sempre è così. In Italia, per esempio, ci sono tanti sospetti, ma non è mai successo niente, se non l’episodio di Manfredonia nel 1989. 

Questo può essere per i controlli che si effettuano nel nostro Paese?

Sicuramente sì. In Italia siamo molto più severi a livello di abilitazione sportiva di un atleta, pensiamo solo a Kanu che in Italia di fatto non poté mai giocare e poi si costruì una carriera lunghissima in Inghilterra; o a Fioravanti, nuotatore bicampione olimpico che fu fermato per un problema cardiaco ma fu poi quasi ingaggiato dal Qatar per nuotare per loro. Insomma, in Italia c’è una legislazione molto più dura e meno accomodante che non all’estero, dove invece se anche scoprono un problema magari non ti fermano. Quindi, forse in certi casi si tratta solo di un problema medico e non di doping.

 

(Claudio Franceschini)