Quante storie si possono raccontare in 90 minuti! La partita di ieri sera è un esempio lampante, perché si intrecciano alla perfezione i destini degli ultimi allenatori del Chelsea, la grinta di Drogba e la sfortuna di Messi, la stupidità di Terry e la saccenza del Barcellona. Quando al 4′ della ripresa il Richie Rich della storia del calcio sbaglia il rigore che avrebbe quasi chiuso, pure quest’anno, la pratica Chelsea, anche i più convinti illuministi dei salotti buoni hanno iniziato a credere ai fantasmi, ai leggendari poteri magici di Harry Potter da Setubal o al fatto che Qualcuno da lassù si sia messo, tutt’un tratto, a tifare Blues. La semifinale di ieri colpisce chiunque l’abbia vista; si vorrebbe spiegare con cartesiana logica come è potuto accadere che gli arcieri blaugrana, abituati da troppo tempo a centrare il bersaglio, siano stati accecati dall’umiltà di un allenatore, più inglese nello speech, ma purosangue italiano in tutto il resto. Zitto zitto, quatto quatto, il Guardiola dei poveri, nato in Svizzera nel Canton Sciaffusa da emigranti abruzzesi e trapiantato dal ’96 nel quartiere più chic di Londra, prenota la prima panchina dell’Allianz Arena. Per la seconda volta nella storia del Chelsea è infatti un allenatore di seconda mano a raggiungere la finale di Champions League: successe nel 2008 con lo sconosciuto Grant ed è ricapitato ieri con Di Matteo, da circa due mesi alla guida di un melting pot in cui è riuscito a far coesistere veterani rigenerati e giovani rivalutati. L’ex mediano della Lazio ridà entusiasmo ad un ambiente caduto nel baratro, dopo la figuraccia di Napoli rimediata dal palloncino Villas Boas. Abramovich, come un ricco romantico, aveva puntato tutto (e forse troppo) sull’ex allenatore del Porto, sperando nella reincarnazione del più rimpianto allenatore passato da Stanford Bridge; neanche una stagione, e la squadra passa al vice Di Matteo che riesce a toccare, proprio come fa un ex compagno, il cuore dei suoi ottenendo risultati insperati: 10 vittorie, 2 pareggi e una sola sconfitta nei 13 match disputati. Sebbene quella di ieri sera non è stata una vittoria, è forse la partita a cui tifosi e giocatori resteranno più affezionati. La sfida inizia col Barcellona che ti aspetti: da protocollo gli alieni mettono il pilota automatico; la tiki–nausea sembra avere i suoi effetti dopo solo 2′ ma Messi fallisce incredibilmente; l’onda blaugrana sale senza sosta e si infrange di continuo sulle bianche scogliere inglesi che cedono solo negli ultimi 10 minuti, per opera di Busquets prima e Iniesta poi.
Tutto è come doveva andare o meglio, come tutti si aspettavano andasse: Chelsea ormai spacciato, per di più dopo l’ignorante espulsione del capitano J.T. che per punizione non avrà nemmeno la possibilità di rifarsi, semmai la coppa sarà decisa ai rigori. Gli ospiti, come vuole il più autentico spirito inglese, soffrono ma non demordono e, nell’unico spiraglio concesso a Ramires, creano l’incredibile 2-1 allo scadere del primo tempo. Guardiola rientra e le prova tutte, dalla panchina cerca di telecomandare la squadra come se giocasse alla playstation; poco più in là, un Di Matteo impassibile bisbiglia a bassa voce qualche preghiera mentre il tic-tac del cronometro scandisce irrimediabilmente una partita senza fine. Dopo 745 passaggi contro 146; 25 cross contro 2 e 10 corner contro 1, al 35′ della ripresa entra, al posto di un encomiabile Drogba, l’emblema della gestione Abramovich, colui che ha segnato 7 reti in 44 incontri giocati: Fernando José Torres Sanz. Tra giustificabili mugugni e vane speranze, el Niño sbaglia ogni pallone che tocca, già si critica l’inutilità del cambio ma nessuno si aspetta quello che il dio del calcio ha previsto. Forse nessuno sapeva, fino a ieri, che Torres ha un rapporto speciale con i blaugrana: ha segnato 8 gol nelle 11 partite giocate contro il Barça, ben 5 dei quali al Camp Nou. Era scritto che doveva andare così, l’ennesimo rilancio alla cieca della retroguardia del Chelsea va proprio a pescare Fernando da Madrid in attesa, sulla linea di metà campo, che il fato si compi un’altra volta nei minuti di recupero. L’esasperato fuorigioco di Guardiola dimentica l’avversario il quale castiga l’anticonformismo catalano per la gioia di tutta Madrid. Alla luce di tutto ciò sembra che non siano solo le statistiche a dire che mai una squadra è riuscita a vincere, per due volte di seguito, la coppa più bella del mondo; pare sia più realistico e bello dare spazio alle speranze di Drogba, al destino di Torres e alla povertà di Di Matteo. Tra un mese, per precisione il 19 maggio, scopriremo se il Chelsea coronerà il suo incredibile destino alzando una coppa fin ora mai vinta dalla squadra di Londra.
(Giorgio Davico)
@ginovico