Coppa Italia (pardon, Tim Cup) 2011/2012, Napoli-Juventus, inno d’Italia, fischi. Ufficialmente per Mameli ma idealmente per Arisa, tanto tagliata per la canzonetta da Festival quanto inadeguata per l’occasione. Ma non pianga, la paladina della sincerità: disappunto va rivolto a chi l’ha scelta. Com’è come non è, dietro le sbarre dell’opinione pubblica è finito il comportamento di una frangia di tifosi napoletani, rei aver infangato di fischi il cantico d’identità nazionale. Nella sera della coppa nazionale, per giunta: e giù Schifani con l’inciviltà e il turbamento, e giù la Rai con indignazione e censura. E il calcio è malato e la gente fa schifo. Nei libri di storia, un altro paragrafo buio alla sezione sport e dintorni, dopo gli sconcertanti (quelli sì) fatti di Marassi di un mesetto fa. In questo senso, sul discorso stadi siamo davvero più avanti di quel che crediamo. Una volta ti facevano storie se lanciavi giù un motorino, adesso no: oggi comandano gli ultrà, più liberi di così non si può essere. Tempi duri. E qui si calpesta la solita retorica: c’erano anni in cui lo stadio era posto per civili, in cui anche il tifo era creativa espressione della parte umana dell’uomo, bla bla bla. Anni in cui uno striscione non faceva polemica ma identità. Ecco: salto indietro, negli scaffali della memoria per i più grandi, nella storia per chi è venuto dopo. Anno di grazia 1982, estate di gloria 1982. Al mundial spagnolo i fratelli d’Italia del Vecio Bearzot portano a casa la terza stella, quella mondiale (fa un pò ridere, trent’anni dopo, pensare all’astro della discordia juventino). Inutile espandersi in amarcord: chi c’era non dimentica, chi non c’era, volente o nolente, ha visto e rivisto tutto. Il nostro obiettivo si fa spazio nelle immagini del successo, scartando tra l’urlo di Tardelli (altro che Munch) e lo scopone del mister. Andiamo a ritroso, partendo dalla fine: la Coppa che sbarca in Italia, Pertini che gioca a carte in aereo, Zoff che la porge al cielo di Madrid, Breitner Altobelli, il grido tardelliano il rigore di Cabrini, coscia di Rummennigge baffi dello Zio astuzia-Pablito ciuffo-Conti spalla-Graziani, tutto d’un fiato. In una centrifuga di emozioni all’incontrario, torniamo alla partita precedente. Quella che chiusa nel sandwich di Germania e Brasile rischia di sfuggire alla ribalta del ricordo. Italia-Polonia 2-0: passo di mezzo nell’expoit di Paolo Rossi, che ne fece tre ai carioca, uno ai crucchi e due a Zibi Boniek e compagni. Ma soprattutto, decisivo per l’approdo in finale della nostra nazionale. Non saremo noi a rivisitare gli highlights del match, non oggi perlomeno. Ciò che vi proponiamo è un fotogramma di…



…sfondo, sfuggito e riesumato a distanza di trent’anni. Prima del calcio d’inizio, le immagini di TeleSvizzera (Giochi Senza Frontiere, altri tempi, nostalgia…) ci propongono la terna arbitrale: fermo immagine. A questo punto potremmo anche non dirvelo, facciamo così: trovate l’intruso, nella parete umana degli spalti alle spalle dei direttori di gara. Un indizio: non è una persona. Un commento? Dovunque oggi sia, chiunque ce l’abbia (certe cose non si buttano), per favore lo tiri fuori. Sarebbe da farci una mostra.



 

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