Il fatto è noto: durante la conferenza stampa di ieri, il fantasista barese è incappato in una gaffe – sempre che vogliamo dire sia stato così – nella quale ha usato un termine (“froci”) ritenuto poco consono. Immediate le reazioni da parte degli indignati di turno, che hanno visto nell’esternazione di Cassano, fatta peraltro con il sorriso sulla bocca e senza la minima intenzione cattiva o offensiva, come un insulto ai gay, tanto che alla fine la Federazione ha fatto sì che il talento della Nazionale si scusasse pubblicamente. Un’esagerazione? Diremmo di sì, anche perchè tutto il tono della conferenza di Cassano è stato sulla scia di questa uscita. Sappiamo chi è Cassano, lo conosciamo da tempo: è una persona che dice quello che ha in mente, senza porsi il problema di dirlo bene o con linguaggio forbito. La pensa così anche Giuseppe De Bellis, giornalista de Il Giornale che oggi ha pubblicato un articolo nel quale difende le parole di Cassano. Ilsussidiario.net lo ha contattato in esclusiva per entrare nel merito del suo pensiero. Ecco le sue parole: 



Abbiamo letto nel suo articolo parole di difesa nei confronti di Cassano: su che punto, in particolare, non è d’accordo con la “gogna mediatica” scoppiata?

Sostanzialmente su un punto: Cassano dice quello che pensa, la sua verità, e non necessariamente deve essere condivisa e condivisibile. Lo dice senza paura di essere considerato scorretto, con il suo linguaggio, che è quello dei calciatori, categoria alla quale Cassano appartiene. 



Quindi non pensa abbia detto nulla di scorretto?

Il punto è proprio questo: lui non è un banale, dice cose scorrette. Quella su Thiago Silvia dal punto di vista calcistico è cento volete più scorretta di quella sui gay, perché non esiste nel mondo del calcio uno che dice “il Milan sbaglia a vendere Thiago Silva”, e lo dice anche con una decisione così evidente. Conosciamo Cassano da 13 anni: è così, è sempre stato così, pur essendo già cambiato moltissimo. Non penso sia da condannare perché ha utilizzato una frase politicamente scorretta: lui non ha offeso nessuno, ha offeso la lingua italiana, diciamo così.



In che senso?

Non si dice “frocio” ma si dice “gay”; però nel dizionario della lingua italiana esiste la parola “frocio” come altre parole che ora non si usano più. Si ricorda un film di Alberto Sordi, degl anni ’70, in cui si vedono due uomini che si baciano, e lo scambio di battute tra Albero e la moglie è il seguente: “Ma quelli sono due uomini?” “No, sono due froci”. La gente a casa rideva, e non c’era un intento offensivo.

Cosa è cambiato, allora?

Che con il tempo è diventata un’offesa, perché ci siamo adeguati: così come con “handicappati” che non si dice più perché si dice “disabile”, come “negri” che non si usa più; però poi, tra di loro, i gay si chiamano “froci” e “checche”, ma se lo fa un eterosessuale allora è un’offesa. Cassano per esempio non usa il congiuntivo, ma non vuol dire che debba essere impiccato perché non usa il congiuntivo. E non dimentichiamo un’altra cosa.

Quale?

Cassano è sempre stato offeso e deriso, ovunque, perché parla male, è di Bari vecchia, è un terrone: è un’offesa razzista quanto dare del frocio a un omosessuale. E’ paradossale che chi lo ha attaccato sia la stessa gente che usa queste espressioni con nonchalance. Dipende sempre dal contesto in cui si usa l’espressione: quello di Cassano era un contesto goliardico. Certo ha sbagliato, non doveva cadere nel tranello, tutto vero; ma quel che si è creato dopo fa ancora più ridere e indignare di quel che è accaduto nella conferenza stampa.

C’è stata una sorta di ipocrisia perbenista insomma…

Certo. Il fatto che i politici prendano Cassano come esempio dell’immoralità di questo Paese mi fa ridere. A me sembra che qui il problema è che siccome Cassano è un riccone, allora deve pagare la sua ricchezza, perché è diventato ricco senza aver studiato, e quindi dà fastidio.

In che senso dà fastidio?

Se c’è gente laureata che lavora nei call center non è colpa di Cassano. Anch’io non guadagno quanto Cassano e vorrei farlo, ma non penso che Cassano non meriti quei soldi. Un calciatore muove un giro d’affari tale per cui percepisce uno stipendio che il mercato gli consente di avere, esattamente come un giornalista e uno scrittore. Vale per tutti: io non mi indigno, anzi mi indigno dell’indignazione.

 

(Claudio Franceschini)