Chissà per chi farà il tifo questa sera il popolo dei tifosi dell’Inter. Real Madrid-Manchester City non è solo la grande sfida della prima giornata di Champions League, l’apertura ideale del girone di ferro (il D: ci sono anche Ajax e Borussia Dortmund); è anche l’incrocio, il primo ufficiale, tra gli ultimi due allenatori capaci di vincere qualcosa alla Pinetina ma soprattutto di durare nel tempo: Roberto Mancini e José Mourinho. Dopo la partenza dello Special One, sui nerazzurri è calato il buio: d’accordo, Benitez ha messo in bacheca il Mondiale per Club, ma a parte quello niente, prima dell’esonero e della chiamata di Leonardo (che ha vinto la Coppa Italia, se non altro). Secondo posto in campionato, poi via a fare grande il Paris Saint-Germain. Da lì, la storia è nota: le tre giornate (più una di Champions e la Supercoppa Italiana, perse entrambe) di Gasperini, l’arrivo di Ranieri, l’esonero in favore di Stramaccioni, chiamato a rinverdire i fasti di una squadra che per cinque anni ha dominato in Italia. Merito di Calciopoli, certo, ma merito anche di Roberto Mancini, che dopo gli schiaffi presi i primi due anni ha saputo costruire un gruppo imbattibile, che già aveva trionfato nella Supercoppa del 2006 prima del grande ribaltone in tribunale. Quattro gli anni del Mancio come allenatore dell’Inter, fatto di due scudetti (senza contare quello assegnato a tavolino), due Supercoppe Italiana e due Coppe Italia, prima di volare a Manchester (un anno dopo): il suo addio si era consumato ben prima dell’ufficialità, quando a marzo, a pochi minuti dall’eliminazione dalla Champions League per mano del Liverpool, si era lasciato andare a confessioni su come avesse già deciso di abbandonare. Al City, Mancini ha trovato prima la FA Cup, poi la vittoria del campionato nel pomeriggio thrllling dell’Etihad Stadium, contro il QPR. I tifosi lo adorano, i giocatori sono con lui, anche quelli con cui aveva litigato (Tevez); adesso gli chiedono la Champions, obiettivo che sarebbe storico e che il Mancio, da quelle parti, ha fallito al primo tentativo. Al suo posto, alla Pinetina, è arrivato Mourinho: cinque trofei in due anni, soprattutto quella Champions League che mancava in bacheca ad Appiano Gentile da 45 anni. José è stato nel cuore dei tifosi ben prima di Madrid, e non solo per il palmarès che si portava dietro: quella sua presentazione, “Io non sono un pirla”, in mezzo secondo l’aveva già trasformato in un eroe. Poi ci hanno pensato i risultati, e quel saper essere personaggio sopra tutti gli altri, tra frasi accennate, esternazioni, gesti delle manette e un rapporto inossidabile con i suoi giocatori, pronti a gettarsi nel fuoco per lui. Adesso però le cose possono essere cambiate. Mourinho, a Madrid, ha iniziato il suo terzo anno che peggio non si poteva: 4 punti dopo 4 giornate di campionato (in cui deve difendere il titolo), già due sconfitte per mano di Getafe e Siviglia, prestazioni opache, il tutto dopo aver strappato la Supercoppa di Spagna al Barcellona, battuto per la prima volta al Bernabeu al sesto tentativo. Nemmeno è questo è bastato: la squadra affonda, i giornali attaccano, parlano di gioco casuale e vittorie che arrivano per forza bruta, addirittura accostano Mourinho (qui mai amato) all’automobilista che non si fermerebbe se investisse qualcuno. Ma, più di ogni altra cosa, per la prima volta in carriera il portoghese non ha più il controllo dello spogliatoio. Ronaldo voleva più soldi, quando dopo il Granada ha parlato di tristezza e di situazioni professionali che non gli piacevano? Forse, ma forse no. Già lo scorso anno, pare, qualche senatore (con Casillas in testa) sembravano sul piede di guerra per le continue uscite del loro tecnico, che qui in Spagna sopportano poco fin dal primo giorno;
Stavolta, all’indomani della seconda batosta nella Liga, Mourinho ha prima tuonato contro i giocatori (“ne avrei cambiati sette o otto: al momento non ho una squadra”), poi si è rimangiato tutto e si è preso le colpe, come si confà ad una vera guida tecnica ed emotiva. Eppure Mourinho, conosciuto per non aver mai avuto un problema con i suoi giocatori, scricchiola. Se ha bisogno di ripetere in conferenza stampa che va tutto bene all’interno dello spogliatoio, significa che non c’è la serenità giusta. C’è di più: il Real Madrid lo scorso anno ha vinto 6 casalinghe su 6 in Champions League, segnando 24 gol. Dovesse perdere stasera, o comunque non vincere, sarebbe un tonfo. Certo, qualcuno fa notare che l’ultima volta che il Real Madrid è partito così male nella Liga ha poi vinto la Champions, e che la Coppa sollevata a Glasgow resta l’ultima in bacheca; infine, che Mourinho può essere eliminato dal Barcellona un anno, dal Bayern Monaco un altro, ma il terzo anno non ha rivali. Sarà, ma questa sera al Bernabeu ci sarà atmosfera pesante come poche volte si è avvertita. Pronto ad approfittarne Mancini: a lui, la Champions League non l’ha chiesta nessuno, casomai è uno sfizio personale, non avendola mai vinta. Uno come Mourinho, abituato a rincorrere la storia, bene farà a non restare troppo indietro: sarà anche settembre, ma vai poi a recuperare.
(Claudio Franceschini)