Cinquantacinque. Sono i punti conquistati dal Barcellona nel girone d’andata della Liga. Cinquantacinque. In 19 partite, che fa una media di 2.89 a partita. Tradotto: diciotto vittorie, un pareggio. Spaventoso. I catalani le hanno vinte tutte, tranne l’impegno casalingo della settima giornata. Avversario? Il Real Madrid, nel terzo Clasico stagionale (prima la Supercoppa di Spagna, una vittoria per parte ma trofeo alle Merengues per i gol in trasferta). Allora dalle parti di Valdebebas, quartier generale della Casa Blanca, ci fu grande euforia: “Non ci battono più”. Sarà anche vero, ma intanto quella sera i blaugrana avevano mantenuto otto punti di vantaggio; a metà campionato, il distacco è di punti diciotto. Altra traduzione: la Liga è andata, perchè l’Atletico Madrid, la squadra che ha fatto meglio dopo la banda Vilanova, arranca a meno undici, nonostante un Falcao da 18 reti nel solo girone d’andata. Il dibattito è già aperto: è il Barcellona che è troppo superiore, o sono le altre che non sono competitive? Sia quel che sia, ma quando hai in squadra un certo Leo Messi che gira a 28 e si è appena preso il quarto Pallone d’Oro consecutivo (mai nessuno come lui) ragionevolmente puoi solo pensare di giocare per il secondo posto. 64 gol segnati, ben più di tre a partita, 20 subiti: dieci vittorie su dieci in trasferta. Ventiquattro punti sulla quinta, il Malaga distrutto ieri alla Rosaleda con un 3-1 quasi senza appelli: qualificazione alla Champions League in tasca dopo l’andata. E dire che c’era qualcuno che dubitava. In primis, forse, gli stessi vertici del club: l’addio di Guardiola, ampiamente annunciato da una tristissima e commovente conferenza stampa, aveva lasciato qualche strascico psicologico, se è vero che sul finire di stagione 2012/2013 erano sfuggiti nel giro di pochi giorni la quarta Liga in fila e la terza Champions League nelle ultime quattro stagioni. Il Real Madrid, corsaro al Camp Nou con il gesto di calma di Cristiano Ronaldo, pensava di aver sovvertito le gerarchie una volta per tutte: senza più Pep, le Merengues erano convinte di poter dominare da lì in avanti. Si sbagliavano tutti: Tito Vilanova ha preso in mano un gruppo più affamato che mai, determinato a far capire a tutto il mondo che finchè in campo ci saranno i Puyol, gli Xavi e gli Iniesta, i padroni sono ancora loro. Sei vittorie consecutive per aprire la Temporada, come la chiamano in Spagna; quattro successi nel girone europeo, a prendersi subito la qualificazione agli ottavi quasi senza disturbare. Poi il pareggio nel Clasico, e via ancora a centrare dodici vittorie una in fila all’altra, dominando il sorprendente Atletico Madrid, stravincendo il derby, matando la rivelazione Malaga. Cinquantacinque punti. Il Barcellona a dire il vero li aveva sfiorati non troppo tempo fa: era il 2003/2004, primo anno di Frank Rijkaard e Ronaldinho al Camp Nou. Un brutto girone d’andata, il Valencia che scappa, l’aria di crisi e i progetti di smobilitazione. Poi arrivò Edgar Davids dalla Juventus, la squadra si sistemò, infilò un ritorno da 17 vittorie, un pareggio e una sconfitta, battendo tutte le grandi. Non bastò per vincere la Liga (il Valencia di Benitez arrivò davanti per cinque punti), ma il grande Barcellona nacque lì. L’anno seguente Rijkaard vinse la Liga grazie all’acquisto di Samuel Eto’o, Deco e Ludovic Giuly: fu il primo ad aprire in maniera costante ai canterani, lanciando un ventenne Iniesta, dando fiducia a Bojan Krkic, mettendo Xavi ancora più al centro della squadra. Arrivarono cinque trofei in due anni, poi il gruppo si sgonfiò sotto i malumori del Gaucho e qualche acciacco di troppo. Finì il rapporto con l’olandese, arrivò Pep:  



Il resto è storia, ma sbaglia chi pensa che questa formazione che ha dominato il mondo sia nata con Guardiola. Le radici del Barcellona come lo conosciamo oggi, con l’arrivo di Johan Cruyff e Rinus Michels in Catalogna, l’importazione del calcio totale olandese che ebbe la prima grande sublimazione nel Dream Team che vinse quattro campionati consecutivi e la Coppa dei Campioni, ma si schiantò contro il Milan di Capello e chiuse il suo ciclo. Da Romario-Stoichkov-Laudrup a Xavi-Iniesta-Messi il passo è stato lungo: si è passati attraverso anni bui, fatti di olandesi mediocri (Reiziger e Bogarde), di carneadi stranieri pagati a peso d’oro (Christanval, Patrick Andersson), di addii più o meno tristi (lo stesso Guardiola, Amor, Ferrer). Il Real Madrid dominava in Spagna e in Europa, al Camp Nou si alternavano allenatori (Serra Ferrer, Rexach, il ritorno di Van Gaal, Radomir Antic): a guardare oggi, sembra che quei momenti bui non siano mai esistiti. Questo ciclo finirà, perchè nel calcio nessuna grande squadra dura per sempre: ma intanto questo Barcellona ha già fatto storia e leggenda, non importa quante altre Champions League alzerà al cielo. Certo, Leo Messi deve ancora compiere 26 anni e ha già segnato 290 gol con la maglia blaugrana (197 nella Liga): con uno così il futuro è assicurato, ma la creatura culé di oggi non è solo la Pulce: è un sistema clamorosamente perfetto, nel quale tutti i meccanismi si inseriscono alla perfezione e per uno Yaya Touré che lascia la Catalogna c’è un Sergio Busquets pronto a prendere il posto alzando ancor più l’asticella del rendimento. Questo Barcellona è riuscito a far venire i complessi di inferiorità a José Mourinho, che ha tirato tanto la corda da spezzarla: Casillas in panchina e furibondo, metà spogliatoio contro, la stampa “di regime blanco” che lo vorrebbe il più lontano possibile dal Bernabeu. Mai successo allo Special One: nemmeno lui però aveva incontrato i marziani prima d’ora. Come finirà la stagione? Sarà un altro triplete, dopo quello del 2009? Arriverà solo la Liga? E chi saranno i campioni di domani? Deulofeu, Sergi Roberto, Jonathan Dos Santos, Tello, Rafinha: siamo così sicuri, che sia solo questione di un pur imprescindibile Pep?



 

(Claudio Franceschini)

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