Il ciclismo non conosce confini. E così arriva in Cina, con il Giro di Pechino, una corsa a tappe fortemente voluta dall’Uci, che si correrà dal 5 al 9 ottobre. Alla prima edizione è stata subito inserita nel calendario World Tour. Ci sarà così una partecipazione di buon livello tecnico. Tra i corridori presenti ci saranno Tony Martin, vincitore della prova iridata di cronometro di Copenaghen, il campione olimpico di Pechino 2008 Samuel Sanchez, Peter Sagan, Van der Broeck, Cunego, Marcato, Oss e Viviani. Si inizierà con una prova a cronometro di 11 chilometri tra i siti olimpici degli ultimi giochi, quindi quattro tappe in linea nei dintorni della capitale cinese, l’ultima in un circuito cittadino nuovamente a Pechino. Questa tappa partirà da piazza Tien An Men, per concludersi allo Stadio Olimpico di Pechino. Per parlare di questa corsa così particolare abbiamo sentito un grande della storia delle due ruote di tutti i tempi, Claudio Chiappucci. Eccolo in questa intervista a ilsussidiario.net.
Cosa pensi di questa corsa?
Mi sembra assurdo e deleterio soprattutto per i corridori dover partecipare a corse senza alcun significato storico e senza nessuna tradizione per il ciclismo. E’ solo una questione di business, nient’altro che business!. Non si rispettano per niente i corridori. Già i corridori non vengono mai rispettati. A differenza dei calciatori che hanno potuto fare uno sciopero e hanno fatto quello che hanno voluto, i corridori non hanno mai voce in capitolo proprio su niente…
Quindi una situazione proprio negativa…
Già il calendario è già troppo pieno. Si creano sempre corse nuove, in qualsiasi parte del mondo, dove non esiste per niente la tradizione del ciclismo. Io credo che bisogna rimanere in quelle nazioni che costituiscono la storia di questo sport. Non capisco come si voglia andare a correre in paesi dove il ciclismo non ha questa storia.
Giro di Pechino quindi di valore tecnico anonimo?
Non penso che uno venga ricordato perché vince il Giro di Pechino. Col tempo si andrà a correre in Africa, o in India ad esempio, con tutto il rispetto naturalmente per questi luoghi, per queste nazioni, dove il ciclismo non ha per niente una tradizione. No le cose non vanno per niente bene Tanti errori, tante scelte discutibili come quella di dividere questo sport in tre categorie, “Uci World Tour”, “Professional” e “Continental”. Hanno senso o è veramente un’assurdità?
Quindi per lei il ciclismo ha veramente senso il triangolo tradizione – pubblico – storia.
Come in Colombia, una nazione dove lo sport della bicicletta ha una storia. Andai a correre la RCN, una gara a tappe di grande popolarità e prestigio di questo paese del Sudamerica. Fu esaltante. Si sa che i corridori colombiani sono soprattutto scalatori, e anche questa era una corsa adatta a questa tipologia di ciclisti. Ma era una gara dal livello tecnico importante, di grande spessore agonistico. Veramente indimenticabile
Come andò questa sua esperienza?
Arrivai secondo, per un’inezia a favore di un corridore colombiano. Feci la mia bella figura e dimostrai grinta, carattere, determinazione. E proprio in quella corsa nacque il mio soprannome “El Diablo”, coniato dalla stessa popolazione colombiana, dai tifosi che premiarono il mio coraggio, il fatto che per la prima volta dopo tanto tempo i loro corridori che vincevano sempre questa gara, fossero messi veramente in difficoltà.
Sei quindi favorevole a un altro tipo di corse, per il futuro del ciclismo? Ti piacerebbe un Giro del mondo delle due ruote?
Sarei favorevole a un Giro d’Europa da correre con le squadre nazionali, come si faceva un tempo con il Tour de France.Come si fa adesso con il Mondiale. Un Campionato del mondo a tappe che possa toccare tutte le principali nazioni di questo continente. Sarebbe una manifestazione stupenda e molto affascinante che potrebbe aggiungersi al Tour, al Giro. Una grande corsa che sicuramente troverebbe consenso da parti di tutti.
(Franco Vittadini)