Un’altra tragedia ha colpito il mondo del pugilato mondiale, purtroppo abituato a pagare talvolta un tributo in vite umane a uno sport che certamente comporta molti rischi per l’incolumità dei pugili. L’ultima vittima del ring si chiamava Roman Simakov, aveva 27 anni ed era il campione russo nella categoria dei medio-massimi. Simakov è morto nella notte di ieri in un ospedale di Ekaterinburg, importante città della regione degli Urali, al confine continentale tra Europa e Asia. Era stato messo k.o. da un altro pugile russo, il 28enne Sergei Kovalev (anche se residente ormai da due anni negli Stati Uniti), nel corso di un match valido per il titolo continentale asiatico della Wbc. Il triste annuncio è arrivato nella giornata di ieri da parte della federazione russa di boxe, e certamente riaprirà altre polemiche sulla pericolosità di questa disciplina sportiva. Dopo l’incontro, Simakov è stato portato via in barella già in stato di coma, e non ha mai più ripreso conoscenza, nonostante un’operazione al cervello. Era stato mandato al tappeto già durante il sesto round, ma si era rialzato ed era stato in grado di proseguire, ma all’inizio della settima ripresa è finito di nuovo k.o. dopo un’altra serie di colpi portati a segno di Kovalev. Anche questa volta, a dire il vero, era riuscito a rimettersi sulle proprie gambe, ma ben presto aveva perso conoscenza, per non riprenderla più. A ucciderlo non sarebbe stato un singolo colpo: poco prima della fine, non sembrava già più in grado di restare in piedi, e lo stesso avversario ha dichiarato che già alla fine del quarto round aveva notato che c’era qualcosa “che non andava” in Simakov. Kovalev si è giustificato dicendo che il suo unico scopo era di vincere, non necessariamente di mandarlo k.o., e che l’ultimo colpo non era di certo più forte degli altri. Evidentemente, però, è stato il colpo di grazia. Igor Maruzov, responsabile della federazione russa di pugilato, si è limitato a dichiarare che “le indagini sulla morte di Simakov sono iniziate”, oltre ad esprimere le condoglianze alla famiglia. Questo è un brutto colpo per la boxe russa: infatti, in 20 anni di pugilato professionistico (prima c’era l’Unione Sovietica e il “dilettantismo di Stato”) in Russia non si era mai verificato un incidente mortale sul ring.



Per Simakov, pugile certamente di buona qualità, si trattava solamente della seconda sconfitta su 22 incontri da professionista disputati a partire dal 2008, e la prima per k.o. prima della fine dell’incontro. Il primo k.o. della carriera, e purtroppo anche l’ultimo della sua vita.  

 

(Mauro Mantegazza)



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