Oggi comincia Wimbledon. Il torneo più ricco di storia, fascino e tradizione di tutto il calendario del tennis mondiale prende il via con le prime partite del primo turno dei tornei maschile e femminile (clicca qui per leggere gli accoppiamenti degli italiani), e si concluderà domenica 8 luglio con la finale degli uomini. Ci sono tantissimi elementi che contribuiscono a creare l’alone di fascino di questa manifestazione, che dal punto di vista tecnico è caratterizzata dall’erba, superficie che nel calendario attuale è ormai una rarità (si disputano tornei sull’erba solo nelle due settimane precedenti a Wimbledon). Tra gli uomini però è quasi impossibile che si esca dal dominio dei tre fenomeni Novak Djokovic, Rafael Nadal e Roger Federer; tra le donne, invece, il pronostico come sempre è più aperto. Per quanto riguarda l’Italia, la stagione 2012 è stata finora una delle migliori di sempre; speriamo che anche a Londra si confermi questo trend – intanto presentiamo 15 giocatori, numero con pochi precedenti nella storia – considerando pure che su questi campi si giocherà pure l’Olimpiade tra poco più di un mese. Per presentare il torneo abbiamo contattato Paolo Bertolucci, uno dei tennisti migliori nella storia italiana. Intervista in esclusiva per IlSussidiario.net.



Bertolucci, ci può spiegare in cosa consiste il fascino di Wimbledon?

Wimbledon è unico, è il torneo per antonomasia del tennis mondiale. Il torneo che tutti i ragazzi che giocano a tennis sognano di disputare e poi di vincere.

Dal punto di vista tecnico, come si gioca sull’erba?

Giocare sull’erba vuol dire cambiare gli appoggi e gli effetti che dai alla palla. Le aperture devono essere molto ridotte, e già prima del torneo bisogna fare un lavoro particolare, per cui solo i grandissimi – e l’albo d’oro lo dimostra – riescono ad adattarsi a condizioni molto diverse da quelle che si trovano normalmente.



In effetti sono rimasti pochissimi tornei sull’erba…

Sì, sono davvero molto pochi i tornei rimasti sull’erba. Inoltre bisogna dire che ad esempio ad Halle le condizioni sono molto diverse da Wimbledon; probabilmente solo al Queen’s si trova un erba simile. E poi ci sono la tradizione, le aspettative… tutti aspetti che accrescono la pressione e influiscono non poco sui giocatori.

Tra gli uomini assisteremo alla solita sfida a tre?

Sì, anche perchè Djokovic, Nadal e Feder sono obiettivamente superiori. Poi c’è Murray, che possiamo definire “prima riserva” di questi tre campioni.



Tra le donne invece il pronostico è più aperto?

Direi di sì, anche se a dir la verità ci sono anche qui due chiare favorite, cioè Maria Sharapova e Serena Williams.

Per l’Italia il primo risultato positivo è già arrivato: 15 partecipanti sono un bel numero…

Sì, è vero, anche se in genere non è la quantità che manca al tennis italiano. La cosa importante è che negli ultimi mesi è aumentata anche la qualità.

Quali obiettivi possiamo identificare per gli azzurri?

Bisogna dire che l’erba è una superficie abbastanza sconosciuta per gli italiani, quindi sarà difficile ripetere i risultati di Parigi. Però in ogni caso il livello dei nostri giocatori è sicuramente migliorato, anche nel settore maschile.

Seppi sarà il nostro nome di punta?

Sì, lui e anche Bolelli, che sono i due giocatori che hanno più qualità per giocare sull’erba. Però poi contano molto variabili come il tabellone e gli avversari che si incontrano.

Dalle ragazze invece cosa possiamo attenderci?

Sarà molto difficile che la Errani possa ripetere Parigi, viste le sue caratteristiche. Speriamo che la Schiavone ritrovi la forma dei giorni migliori, così come la Pennetta, che ha più possibilità sull’erba. Quella che si trova meglio sull’erba è in ogni caso la Vinci, anche se le manca un po’ di potenza.

Grandi soddisfazioni ci stanno arrivando anche dal doppio: cosa potremmo ottenere a Londra?

La coppia Errani-Vinci può benissimo avere un ruolo da protagonista anche qui, e anche Schiavone-Pennetta sono una buona coppia. Tra gli uomini è tutto più complicato, ma ci affidiamo a Bracciali, che è un ottimo specialista del doppio.

 

(Mauro Mantegazza)