Evidentemente, anche le coreane piangono. Abituati come siamo a vedere gli atleti asiatici (cinesi soprattutto) freddi come il ghiaccio, quasi robotici nella loro perfezione sportiva, la scena di ieri sera presso l’ExCel, teatro dei tornei di scherma, ha colpito ancora di più. La sudcoreana Shin A Lam, 25 anni e priva di vittorie importanti in carriera, se la giocava contro Britta Heidemann, tedesca e campionessa olimpica in carica. Era una semifinale: spada individuale femminile. Il regolamento dice che al termine dei tre assalti da tre minuti ciascuno, in caso di punteggio in parità, si proceda con un minuto supplementare, nel quale viene sorteggiata una priorità. Quindi, chi vince la priorità va in finale anche con il pareggio, mentre l’avversario deve necessariamente piazzare una stoccata. L’incontro, tesissimo, si è protratto fino al 5-5, da qui si è andati al minuto extra e al sorteggio è stata Shin A Lam a vincere la priorità. La Heidemann ci ha provato senza risultati, e siamo arrivati a un secondo alla sirena conclusiva con il pareggio persistente e la sudocoreana a un centimetro dalla storica finale. Qui, però, è successo il fattaccio: per ben due volte, in quel breve lasso di tempo, le due avversarie hanno stoccato insieme (quindi, punto a nessuna delle due) e soltanto al terzo assalto la tedesca è riuscita a segnare il punto del 6-5. Si è capito immediatamente che c’era qualcosa che non quadrava: com’è possibile che in un secondo ci siano potute essere tre stoccate? Questa è stata la tesi della Shin, che si è rivolta all’arbitro con lo sguardo implorante. Naturalmente la Heidemann è rimasta lì, ad aspettare un responso. Arrivato, con la conferma della vittoria per l’olimpionica in carica. Che, da par suo, e giustamente, ha esultato, e ha preso la via degli spogliatoi. La Shin, invece, no. Lei è rimasta seduta in pedana, in lacrime, rifiutandosi di andarsene. Sono intervenuti i dirigenti sudcoreani (con veemenza, anche), che hanno tentato di spiegare come fosse impossibile quello che l’arbitro aveva deciso. L’arbitro, però, non è colui che controlla il tempo: è il time keeper a farlo, è lui a far scattare il cronometro dopo che il direttore di gara dà l’Allez. Errore tecnico? Errore umano? Non si sa, ma intanto il siparietto è durato un’ora. La Shin piangeva inconsolabile, e c’è da capirla: provate voi a dedicare quattro anni di allenamenti e sacrifici per una finale olimpica che vi viene tolta per uno sbaglio esterno: c’è da impazzire. A un certo punto, la sudcoreana si è alzata, ma ha lasciato lì la sua maschera. E’ dovuto intervenire il segretario generale della Fie per riuscire ad accompagnarla fuori dall’arena, ma intanto il pubblico si era schierato: ovazione per Shin A Lam, tributo mai riservato a nessuno. E, per contro, fischi alla povera Heidemann, che era l’ultima delle colpevoli e poi ha perso la finale contro l’ucraina Shemaykina (guarda un po’: al supplementare). La Shin…



… che ha anche rischiato cartellino nero e squalifica, è tornata in pedana tra i boati dell’ExCel per la finalina del bronzo, ma non era la sua giornata: ha dovuto lasciare lì anche il terzo posto contro la cinese Sun. Non è la prima volta che i sudcoreani “occupano” il terreno di gara: era successo ai pugili Choh Dong-Kih (51 minuti nel 1964) e a Byun Yong (1988), che addirittura ha sforato l’ora. Il pianto della Shin, però, in un’epoca così globale e tecnologica resterà negli occhi di tutti. E’ diventata l’idolo degli inglesi: forse avrebbe preferito meno applausi e una medaglia in più.



 

(Claudio Franceschini)

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