Ivan Fernandez Anaya sta occupando parte delle cronache sportive a sfondo etico, se così si può dire. E’ un atleta spagnolo che partecipa a gare di atletica, specializzato nella resistenza. Recentemente si è reso protagonista di un gesto che ha avuto una discreta cassa di risonanza. Circostanza, la corsa 3000 metri siepi, una delle più dure dell’atletica (disputata anche alle Olimpiadi di Londra, e vinta dal keniano Ezekiel Kemboi), svolta a Burlada nei paesi baschi, circa un mese fa. Nella fattispecie lo spagnolo Ananya si è classificato secondo per scelta, almeno così si dice. L’episodio: a pochi metri dall’arrivo il keniano Abel Kiprop Mutai, terzo a Londra in questa specialità, si distrae, rallentando la corsa per controllare il suo tempo personale sull’orologio; ma non si avvede che alle sue spalle sta rinvenendo Anaya, che ha così l’occasione di superarlo e conquistare la medaglia d’oro. Ebbene lo spagnolo ha deciso di rallentare a sua volta, per lasciare il primo posto al rivale del Kenya, a suo dire più meritevole. “Non meritavo di vincere -ha spiegato lo spagnolo- Era lui il giusto vincitore, aveva creato un divario che non avrei mai potuto colmare se non avesse commesso quell’errore“. Notevole, non c’è che dire: non è da tutti rinunciare al massimo riconoscimento, soprattutto quando questo viene offerto su un piatto…d’oro (quello d’argento è per il secondo, no?). Il fatto è stato riportato ed elogiato da più parti, come un raro esempio di sportività in questo mondo di soldi, saldi e stronzi. Bisogna ammettere che si tratta di un episodio straordinario, che sfugge le logiche tradizionali. Eppure lascia un dubbio. Sportivo infatti può considerarsi chi fa di tutto, entro i limiti fissati dal regolamento, per vincere; chi -nello sport, non si parla di vita ma di sport- sacrifica il proprio successo in nome di valori indubbi ma “parziali” come il merito, non può rientrare nella definizione di uomo sportivo. Da che mondo è mondo lo sport si fonda ed esalta prima di tutto la competizione, il riconoscimento dell’avversario -necessario, perché bisogna accettare la sconfitta- viene dopo. Per capirci, è come se l’Inter avesse avesse lasciato l’Olimpico…



…dopo l’intervallo, nell’ultima sfida di Coppa Italia, perché la Roma aveva dominato nel primo tempo, ipotecando la vittoria con una frazione “ad alto tasso di merito”, per così dire. Lo sport tiene conto dell’errore, ed anzi spesso è più una questione di sbagli che di meriti, basti pensare a quante coppe sono state assegnate dopo i fatidici calci di rigore. Diverso quando entra in gioco la sfortuna, ma se sul 2-1 Piris passa la palla in area a Palacio, pur dopo una gara preziosa e condita da due assist, la cosa più umana è che l’argentino cerchi di infilare Stelekenburg. Per concludere: complimenti allo spagnolo Anaya, che ha rinunciato al riconoscimento personale lasciandolo a un rivale; ma siamo sicuri che per questo lo si possa eleggere ad esempio sportivo? Quanti di noi avrebbero fatto come lui? E, soprattutto, avrebbero fatto bene?



 

(Carlo Necchi)

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