Si avvicinano i Mondiali di atletica leggera, che quest’anno saranno ospitati a Mosca. Una delle gare più attese e affascinanti sarà come sempre la maratona, la specialità di resistenza creata dal barone De Coubertin per le prime Olimpiadi moderne di Atene 1896 ispirandosi alla leggendaria corsa di Filippide per portare ad Atene la notizia della vittoria nella battaglia di Maratona contro i persiani nel 490 a.C. Negli anni questa specialità ha dato grandi soddisfazioni ai colori italiani, in particolare con i successi olimpici di due grandi campioni come Gelindo Bordin a Seul 1988 e di Stefano Baldini ad Atene 2004, anche se purtroppo negli ultimi anni la grande tradizione italiana sembra essersi un po’ inaridita. Uno dei più importanti maratoneti di qualche anno fa è stato il pugliese Giacomo Leone, vincitore della Maratona di New York 1996 e quinto alle Olimpiadi di Sydney 2000. Abbiamo parlato dei suoi successi, della sua carriera e anche degli aspetti meno positivi di una specialità così affascinante: ecco cosa ci ha detto in questa intervista esclusiva per IlSussidiatio.net.
Partiamo dalla vittoria nella maratona di New York del 1996. Cosa ci può dire? Fu un’emozione grandissima, ricordo ancora che al traguardo uno dei tanti manager che seguivano la corsa mi disse: “Lo sai che hai fatto? Hai vinto la Maratona di New York”. Non ci credevo, ancora oggi ho tanta emozione nel raccontare quell’episodio. E pensare che avrei potuto non partecipare a quella maratona.
Come mai? Nel 1995 feci la Maratona di Venezia arrivando secondo. L’anno dopo gli organizzatori di Venezia mi proposero di correre nuovamente offrendoni un compenso uguale a 12 mensilità del mio stipendio da poliziotto. Io e il mio allenatore però decidemmo di affrontare la maratona di New York, che ci regalava solo due biglietti per arrivare in America.
Altra emozione fu l’Olimpiade di Sydney 2000, dove lei arrivò quinto… Ci fu anche tanta delusione perché pensavo di arrivare tra i primi tre. Però l’emozione di correre davanti a 100 mila persone è stato il coronamento della carriera.
Si parla molto di doping, lei cosa pensa? Non mi sono mai piaciuti quelli che hanno usato scorciatoie per arrivare a ottenere qualcosa. Li considero dei falliti perché non potranno mai guardarsi allo specchio. Il problema è che in molti sport, soprattutto il ciclismo, ci sono tanti casi di doping anche non a grandi livelli.
Ad aprile abbiamo assistito alla tragedia nella maratona di Boston. Cosa ha pensato in quel momento? Che l’uomo a volte può essere davvero cattivo, soprattutto in una giornata di sport come la maratona di Boston. Un atto crudele fatto verso altri simili che festeggiavano una giornata di sport e da cittadini liberi.
Il 21 marzo invece ci ha lasciati Pietro Mennea. Quale è il suo ricordo per il grande campione italiano? E’ stato il simbolo di tutti coloro che con sacrificio e passione sono arrivati a fare cose grandiose nello sport. Un grandissimo personaggio dello sport italiano.
Cosa vorrebbe dire a un ragazzo che ha voglia di diventare un maratoneta? Di non scordarsi mai le proprie origini, di andare avanti con forza e passione senza scorciatoie. Bisogna saper esaltare le proprie doti, andare avanti sempre senza pensare agli errori. (Claudio Ruggieri)