“Resto a Roma, non me ne vado”. Questo, in pillole, quanto comunicato da Franco Baldini in occasione della conferenza stampa svoltasi a Trigoria. Una conferenza stampa indetta per smentire le voci di un suo presunto addio alla società giallorossa per sposare il progetto del Tottenham (ricordiamo: Baldini è stato assistant manager della nazionale inglese durante la gestione Capello, ed è rimasto affascinato dal calcio britannico). “Ormai è un rituale: ogni due o tre mesi bisogna venire qui e smentire voci circolate chissà per quale motivo. Io sono stato scelto dalla proprietà americana, ho un contratto di quattro anni, sto lavorando a un progetto che è quello di rendere nuovamente competitiva la Roma”. All’inizio il direttore generale usa toni di frustrazione nei confronti della categoria dei giornalisti, definendo umilianti le voci destabilizzanti l’ambiente. “C’è in atto un tentativo di destabilizzare questa società”, ripete a più riprese, prima che un collega impugni il microfono, faccia mea culpa e dica “Però spieghi quali sarebbero le vostre responsabilità”. Perchè è la solita storia: chi destabilizza, e perchè? Il settimo posto dello scorso anno, le 16 sconfitte, sono dovute a interventi esterni atti a danneggiare la Roma? Spiegazioni che appaiono sinceramente deboli e fuorvianti. Meglio parlare di argomenti tecnici: la Roma ha perso male contro la Juventus, dopo la partita sono state dette parole pesanti, il direttore sportivo Sabatini ha parlato di calciatori sopravvalutati, De Rossi ha ammonito dal pensare allo scudetto, Zeman ha ribadito che la squadra non lo segue. In tutto questo Baldini non si è visto, perciò qualcuno ha anche insinuato il dubbio che, stante anche gli addii di Tancredi e Luis Enrique, questa Roma si stia “debaldinizzando”. “Assolutamente no”, replica il dg, “nessuno di noi si pone mai il problema di chi deve dire cosa. Non siamo una gerarchia, c’è continuo dialogo tra le varie aree dirigenziali”. La proprietà pèrò è distante: James Pallotta sarà presente alla cerimonia della Hall of Fame (“un’occasione per ammirare la storia passata del club e applaudire i propri beniamini”, così Baldini ha invitato la gente allo stadio) ma in generale gli americani non si vedono mai da queste parti. Il dg ha minimizzato la cosa: “Anch’io tengo alla Roma, sono un dipendente ma ho investito tanto in questo progetto e certo ho più anni di campo alle spalle di quanti non ne abbiano gli stessi dirigenti”. Verissimo, però è proprio in campo che le cose non vanno. Il discorso sui giocatori sottovalutati è stato tirato in ballo, si è ricordato come Baldini avesse detto le stesse cose ad aprile, e ora con una campagna acquisti di mezzo, campagna concertata in tutto e per tutto con Zeman come ha anche ricordato il direttore generale, non è cambiata una virgola. “Ma quelle parole Sabatini le ha dette per suscitare una reazione nei giocatori”. Sarà anche vero, ma a parlare è il campo, con i novanta minuti e i risultati della squadra, “che hanno minato la convinzione, portandoci alla figuraccia contro la Juventus”. Otto punti con una sola vittoria in campionato, un’Olimpico ancora non “espugnato”, due rimonte subite contro avversari non irresistibili. La Roma sarà anche una società solida, ma i giocatori forse hanno qualche problema in più. Ragionevolmente, guardando le squadre di Zeman (“ha la nostra fiducia, illimitata”) si può e si deve pensare che questo gruppo crescerà, che diventerà forte e solido, che i problemi saranno limitati; però, non si può non guardare al presente. E se vogliamo accettare che la squadra debba crescere perché giovane, come ha sottolineato Baldini, bisogna anche pensare a come Piris sia già stato accantonato e superato nelle gerarchie da calciatori fuori ruolo. Come a dire:
forse il punto non è semplicemente quello di aspettare la maturazione, o di cercare una reazione colpendo nell’orgoglio. La Roma in questo momento è una squadra che un po’ perso il bandolo della matassa, e forse ha ragione il collega che ha posto la fatidica domanda: “Non sarà che le voci di presunti addìi vengono fuori sempre quando in campo non arrivano i risultati?”. Vere o no che siano le voci del Tottenham – qui dobbiamo fidarci di Baldini, e giustamente accettare la sua smentita – il nodo centrale sta qui, ed è un cane che si mangia la coda: con i risultati arriva la serenità, ma la serenità facilita le vittorie. Forse il problema sta nella fame di vittorie, che viene ad una società abituata a sollevare trofei che per un periodo non vince più. “Come la Juventus, che prendo a esempio; noi una fame così, un’abitudine simile, non ce l’abbiamo”. Sarà meglio che venga subito: Baldini non se ne va “a meno che non mi logori fino allo sfinimento stando qui”. Ci pensi Zeman, ad allontanare il rischio.
(Claudio Franceschini)