Seydou Doumbia? No, grazie, vorrei giocare in Europa. Gregory Van Der Wiel? Onorato, ma la Champions League… La Roma si è scontrata in questi giorni con la dura realtà: senza le coppe, il mercato in entrata si fa difficile. Abbiamo fatto due nomi di giocatori sicuramente interessanti e validi, ma decisamente non annoverabili alla voce “Top Player”; eppure, sia l’attaccante del CSKA Mosca che il terzino destro dell’Ajax hanno rifiutato le proposte di Walter Sabatini. Pare che la stagione di transizione, ampiamente annunciata e condivisa dai giocatori e dalla società, abbia lasciato in eredità qualche intoppo di troppo: non solo l’addio di Luis Enrique, ma anche la difficoltà ad acquistare i rinforzi studiati. Una situazione da cui era passata anche la Juventus l’anno scorso, ma qui dobbiamo già fare una distinzione: vero che i bianconeri avevano perso appeal agli occhi delle grandi d’Europa, ma il blasone della società piemontese, costruito negli ultimi quindici anni, di sicuro è superiore a quello della Roma, che non può neanche schierare una storia fatta di tanti trofei, perché la bacheca dell’era moderna parla di uno scudetto (lontano 11 anni), due coppe Italia e un paio di Supercoppe Italiane. Decisamente troppo poco per attirare, solo con il palmarès, i nomi in grado di cambiare una squadra. Allora, a questo punto Sabatini e Baldini si trovano di fronte al più classico dei bivi: che fare, se i nomi che abbiamo in mente ci snobbano? Le soluzioni possibili sono due. Soluzione uno: acquistare giocatori di esperienza, avvezzi al campionato italiano o agli tornei europei ma non di prima fascia. E’ la pista che porta a Matias Silvestre, per esempio, quattro anni passati in Sicilia tra Catania e Palermo, ottimo elemento che però non ha messo insieme una sola presenza in Europa e viene da realtà “provinciali” (con tutto il rispetto), senza le pressioni che dalle parti di Trigoria rischiano di schiacciarti. Insomma, l’idea sarebbe quella di costruire una squadra fatta di tanti elementi navigati ma senza la stoffa del campione, nè la presunzione di diventarlo. Obiettivo: far maturare i giovani della rosa, permettere loro di crescere all’ombra delle cosiddette “chiocce”. Il vantaggio? E’ dimostrato dai fatti che in serie A è meglio avere esperienza piuttosto che talento, in certi casi: il nostro campionato può essere di difficile impatto… … meglio andare su uomini che sappiano cosa vuol dire giocare trasferte a Verona, Siena o Catania. Lo svantaggio? Rischiare di costruire una squadra poco futuribile, buona ma non buonissima, capace di puntare all’Europa League ma poi in difficoltà nel fare il passo decisivo;
Inoltre, la poca futuribili del progetto, e il probabile abbandono della strada intrapresa un anno fa. C’è però la seconda strada. Sarebbe la seguente: Luis Enrique o meno, continuare con la sua idea di calcio (Montella pratica il 4-3-3: con qualche aggiustamento – vedi un regista che Luis Enrique non aveva – il modulo è quello), e soprattutto perseguire fino in fondo la politica dei giovani. Qui i nomi ci sono, e nemmeno pochi: Ocampos può essere un colpo stile Lamela (anche lui gioca nel River Plate), per la fascia sinistra si parla di Musacchio e Tabanou, c’è Mouossa Sissoko in mediana, Lanzini è già seriamente monitorato… e in più, si riconoscerebbe ancor di più il ruolo centrale di Lamela, Bojan, Marquinho, Borini, quelli che sono arrivati lo scorso anno. Partiamo dallo svantaggio di questa ipotesi, che è evidente: rischiare di ripetere un anno come quello appena trascorso, con il serio pericolo che gente come Pjanic si stufi e abbandoni la barca, e inoltre, forse ancora peggio, una probabile contestazione della società da parte del pubblico, che sappiamo essere decisamente passionale. Ma il vantaggio fa pensare: se la squadra esplode, se il progetto tiene, se non si bruciano le tappe, la Roma si ritroverebbe in mano una squadra giovanissima e potenzialmente fortissima, in grado non solo di raggiungere l’Europa, ma addirittura di puntare allo scudetto. Perché mentre gli Ocampos e i Lanzini crescono, i Pjanic e i Lamela diventano campioni. E ricordiamoci che Totti, De Rossi, Heinze, gente esperta, navigata e che sa cosa significa giocarsi un titolo, resta nel gruppo. Ecco il dilemma della Roma, con una certezza comunque: non è detto che i no di Coppa siano necessariamente solo una seccatura.
(Claudio Franceschini)