Ricorreva ieri, 30 maggio, l’anniversario della morte di Agostino Di Bartolomei: è davvero incredibile pensare che siano già passati 24 anni da quella mattina di Castellabate, nel salernitano, quando l’ex calciatore si sparò al petto con la sua pistola togliendosi la vita. Una tragedia che ebbe grande impatto nel mondo del calcio e non solo: Di Bartolomei scelse di andarsene a dieci anni esatti dalla finale di Coppa dei Campioni che la sua Roma aveva perso in casa contro il Liverpool, ai calci di rigore. La sua Roma, perchè “Ago” era il capitano di quella squadra: ci era arrivato ancora bambino dopo aver tirato calci al pallone a Tor Marancia, dopo aver rifiutato quel Milan che pure avrebbe ritrovato, molto tempo dopo. Di quella morte si è detto e scritto tantissimo: Di Bartolomei lasciò un biglietto nel quale diceva di sentirsi “chiuso in un buco”, si pensò alle porte chiuse che il mondo che aveva tanto amato gli presentava davanti. Ago però aveva fondato una scuola calcio a Castellabate, insegnava ai ragazzini a stare in campo e a rispettare l’avversario; forse furono i problemi finanziari – causa di investimenti andati male – forse fu la richiesta non accolta di un prestito. Fatto sta che da quella fine maggio 1994 Di Bartolomei non c’è più e lascia un vuoto in tutti noi. Aveva smesso di giocare nel 1990 e aveva anche commentato i Mondiali del 1990; era già distante dal calcio giocato e respirato in ogni dove, ma nessuno l’ha mai dimenticato. L’esordio nella Roma a 18 anni nell’aprile del 1973, allenatore Antonio Trebiciani; il primo gol alla prima giornata del campionato seguente, tanta gavetta e tanta spola tra prima squadra e Primavera, poi un prestito a Vicenza dove aveva trovato Manlio Scopigno che era stato il grande fautore dello scudetto del Cagliari.



LA CARRIERA DI AGOSTINO DI BARTOLOMEI

Dal 1976 fu solo Roma: in quel primo anno interamente dedicato ai “grandi” Di Bartolomei fu miglior realizzatore dei suoi (8 gol) ma i giallorossi arrivarono ottavi, Niels Liedholm abbandonò per un paio di stagioni ma non prima di portarlo a giocare al fianco di Vierchowod e al centro della difesa. La grande visione di gioco e la sagacia tattica del calciatore gli permisero di imporsi in un ruolo che non era suo, fino a trascinare la Roma allo scudetto del 1983 insieme a Falcao, che era l’altra mente sul campo. L’anno seguente la grande delusione della finale di Coppa dei Campioni, dalla quale si disse che non si riprese mai; l’avvento di Sven-Goran Eriksson ne decretò l’addio ai giallorossi dopo 308 partite di cui più della metà da capitano. Di Bartolomei seguì Liedholm nel Milan, finalmente suggellando il patto che era “saltato” 16 anni prima; segnò una rete decisiva alla sua Roma, esultò con rabbia a dimostrazione di quanto lo strappo gli fosse costato e di quanto in realtà amasse ancora quella squadra. Cesena e Salernitana (con promozione in Serie A) gli ultimi sussulti di una carriera spentasi forse troppo presto e anche troppo avara (Di Bartolomei non esordì mai nella Nazionale maggiore). La Roma ha avuto tre grandi capitani romani, romanisti e con la maglia numero 10: Ago ha preceduto Giuseppe Giannini (che per tre stagioni ha giocato con lui) e Francesco Totti come simbolo della squadra giallorossa e ancora oggi è ricordato con grande affetto.

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