La sua Olimpia scenderà in campo questa sera per la prima gara dei play off scudetto contro Sassari. Una gara importante per coach Dan Peterson che, in esclusiva per ilsussidiario.net, analizza la fase finale di questa stagione. Con un passaggio sull’Nba e sul suo futuro.
Coach quali sono le sue sensazioni entrando nella post season? Quali le possibilità della sua Olimpia di arrivare fino in fondo in questi playoff?
Non posso guardare né alle altre squadre nè oltre la prima serie con Sassari. Voglio concentrarmi su queste prime gare e focalizzarmi sulle singole partite, guardando quel che succede di volta in volta. Penso sia inutile speculare ora su quel che potrà essere, vedremo.
Come vede allora questa prima serie contro la squadra sarda che ha disputato un’ottima seconda metà di stagione?
Sassari è una squadra temibilissima: ha raggiunto il sesto posto battendo Siena e consolidando la sua posizione vincendo a Cremona, ha portato tre giocatori nel quintetto base dell’All Star Game ed è allenata splendidamente da Meo Sacchetti, che è stato in grado di dare sicurezza e fluidità al team. In più può schierare almeno tre giocatori pericolosissimi e di alto livello come White, grande atleta e realizzatore, Diener, a detta di tutti il miglior playmaker del campionato, e Hunter, ottimo rimbalzista. È una squadra solida e completa e dovremo dare il meglio, il 100% in ogni match per avere, non dico la certezza, ma la possibilità di vincere e passare il turno.
Che contromisure può avere Milano per arginare Sassari e quali possono essere i giocatori più importanti in questa serie e nei playoff?
Sarà fondamentale che tutta la squadra dia il suo apporto, che ognuno scenda in campo motivato e pronto a dare il massimo, questa è l’unica ricetta.
Che aiuto può dare e come si è inserito il nuovo acquisto Coby Karl?
È un giocatore completo: ordinato, buon difensore e gran passatore che può far bene sia il play che la guardia o l’ala. La dote che preferisco di lui è forse la sua capacità di essere uomo di squadra, vede sempre i compagni e dalla sua disciplina tattica si vede che è figlio di un allenatore. I ragazzi sono stati bravissimi nel farlo sentire subito a sua agio e lui si è dal primo momento mostrato disponibile sia a livello umano che tattico: è un piacere allenare gente così, darà il suo apporto alla squadra.
Cosa ha permesso a Siena secondo lei di dominare in questi anni in Italia e di presentarsi ancora una volta da grande favorita in questi playoff?
Il segreto è prima di tutto la continuità. La squadra toscana ha lo stesso sponsor, stesso allenatore, stesso general manager Minucci, stesso allenatore Pianigiani, stesso telaio della società, molti giocatori come Stonerook, Kaukenas (che è tornato) o Carraretto da più o meno cinque anni. Questo fa la differenza oggi come lo aveva fatto per me e per la mia Olimpia Milano negli anni ’80 dove D’Antoni, Gallinari, Meneghin, Pittis, Premier e tanti altri formavano una base con cui poter sempre cercare di vincere. Siena ogni anno non riparte da zero, ma riparte da dove ha finito l’anno precedente.
Cos’è che ancora divide le italiane, fatta eccezione per Siena che comunque non è riuscita nemmeno quest’anno ad arrivare in fondo in Eurolega, dalle grandi squadre europee?
Secondo me è soprattutto una questione di budget a disposizione. Per le grandi squadre fuori dall’Italia spesso si parla di cifre attorno ai 30 o 35 milioni da investire nel mercato… questo le avvantaggia e permette loro di arrivare prima sui pezzi pregiati avendo anche più tempo e modo per inserirli in squadra.
Passando dall’Italia all’Europa e infine all’America: sta seguendo i playoff NBA? Cosa ne pensa di quest’annata un po’ matta, lei che è stato, ed è ancora, la voce che abbiamo spesso sentito raccontare le partite cruciali della stagione del basket a stelle e strisce?
Avevo dato per favoriti alla vittoria finale i Los Angeles Lakers e per sicuri partecipanti alla finale di conference i San Antonio Spurs… Sono uscite tutte e due in modo totalmente inaspettato per cui di fare pronostici non me la sento più! Sono dei playoff veramente pieni di sorprese, non ne ricordo di così imprevedibili. Ora Chicago è in vantaggio contro Miami e gli Heat dovranno trovare delle contromisure alla grandissima difesa dei Bulls, che ha mostrato i limiti di una squadra abituata a giocare troppo in isolamento sui suoi campioni. Dall’altra parte sulla carta dovrebbe essere favorita Dallas che, contrariamente a quanto ci aveva abituato coach Carlisle, sta esprimendo un basket spumeggiante e spettacolare ed estremamente efficace.
Qualche domanda un po’ più personale: perché ha deciso di tornare ad allenare?
Potesse tornare indietro rifarebbe la stessa scelta? Sono tornato prima di tutto perché me l’hanno chiesto la squadra che amo e delle persone che stimo molto tra cui Giorgio Armani. In secondo luogo fare l’allenatore è sempre stata la mia passione, per cui ero e sono disposto (o almeno ci sto provando) ad accettare la pressione e gli impegni che questo lavoro richiede: ci sarà un motivo se mi chiamano “il Coach” e non “il telecronista”… Anche quello è un lavoro che mi piace molto fare. In entrambi i casi il mio segreto è quello di fare tutto con gioia, ho sempre cercato di vivere gli impegni che mi erano chiesti con questo sentimento: questo è fondamentale soprattutto per l’allenatore che ha l’avvincente compito di trasmettere ai suoi giocatori passione, amore al gioco ed energia. Potessi tornare indietro rifarei la stessa scelta al cento per cento. Anzi al mille per mille…
Che differenze ha riscontrato tra il basket che, da allenatore, aveva lasciato nell’87 e quello che ha trovato oggi a più di vent’anni di distanza?
Certamente è diventato uno sport molto più fisico, mentre allora era senza dubbio più tecnico. Allo stesso modo si può dire che se 25 anni fa si puntava di più sull’attacco oggi molto di più dipende dalla difesa (potremmo dire 60% difesa e 40% attacco), anche se la differenza la fa sempre l’equilibrio che una squadra riesce ad avere tra le due fasi.
(Giacomo Rampinelli)