In molti pensavano di vedere un remake della finale del 2006, con gli Heat (che di star 5 anni fa ne avevano 2 e ora addirittura 3!) pronti ad alzare il trofeo e i Mav’s e Nowitzki destinati a confermare la loro fama di perdenti. Non solo non è andata così, ma addirittura Dallas ha mostrato che il pronostico dei più non era corretto: ha vinto da squadra, ha vinto col suo campione tedesco, ha vinto con la panchina, ha vinto con l’esperienza dei veterani, insomma ha vinto dimostrando di essere più forte. Più forte, sì, perché chi vince una serie in sette gare, soprattutto se si tratta della finale, soprattutto se va a vincere la gara decisiva fuori casa, è la squadra più forte. Ma andiamo con ordine: partiamo dall’ultima gara. La partita è spettacolare fin dai primi minuti. Da subito si capisce che le squadre, causa principale la stanchezza, non ne hanno più per difendere ai livelli delle partite precedenti (già gara 5 aveva dato dei segnali in questo senso) e gli attacchi ne approfittano. James, dopo le critiche incassate nelle precedenti 2 gare, mette a segno i primi 4 tiri della sua gara e segna 11 punti in un amen, ma sarà un fuoco di paglia (chiuderà con 21 punti). Miami prova una fuga portandosi sul +8 (20-12), ma Terry (27 punti), Barea, le triple di Stevenson(3/5) e la difesa a zona lanciano un impressionante parziale dei Mavericks a cavallo tra primo e secondo quarto: un micidiale 28-8 che porta gli ospiti a condurre sul 40-28.



E Nowitzki? Il campione da Wurzburg tira 1/12 dal campo nel primo tempo, ma nonostante questo i suoi rispondono anche alla sfuriata di Miami targata Eddy House (3 triple) e a sorpresa sembrano in grado di condurre la gara. Una mini rissa scalda un po’ gli animi e fa volare qualche tecnico, ma la partita è bellissima e intensissima con continui sorpassi e controsorpassi. La prima metà di gara si conclude sul 53-51 per i Mav’s. I campioni latitano: James spento dopo il lampo iniziale, Wade (evidentemente limitato dalla botta all’anca rimediata in gara5) stringe i denti ma non è incisivo come al solito, Nowitzki 3 punti con 1 su 12 dal campo.



 

Tuttavia la partita è splendida e continua a trovare, soprattutto sul lato Mav’s, protagonisti che non ti aspetti, come Cardinal (+18 di plus/minus per Dallas con lui in campo) e Mahinmi, chiamato a tanti minuti a causa dei falli di Chandler, oltre ai 17 punti di Terry nei primi due quarti. Il terzo quarto inizia con gli ospiti che vogliono da subito mettere in ritmo il loro campione: e Dirk risponde segnando i primi 4 punti per i suoi. Miami fa molta confusione in attacco e Le Bron non si prende le responsabilità che gli sarebbero richieste e che il dolorante Wade non può prendere per lui, il risultato è che gli Heat cominciano a dare la netta impressione di essere mentalmente, prima che tecnicamente e fisicamente, in difficoltà. I Texani ne approfittano e cercano la fuga decisiva: sono ancora gli instancabili Terry e Barea a guidare il parziale che porta gli ospiti a +12 a 8 minuti dalla fine.



 

Ci si aspetterebbe il tutto per tutto di Miami e invece la squadra si spegne lentamente e in modo a tratti imbarazzante, tradita dai suoi campioni con Wade che si palleggia sul piede e perde palla e Le Bron (un vero fantasma nel quarto periodo) che nell’azione successiva tira mancando il ferro da due metri dal canestro. Gli ultimi minuti diventano l’occasione per Nowitzki di mettere la sua firma indelebile sul successo finale e alla sirena Dallas può festeggiare: 105-95 per i Mav’s che vincono da squadra, davanti ai tantissimi tifosi giunti da Dallas e intorno al loro campione Dirk Nowitzki, finalmente mvp delle finali NBA. Ha vinto la squadra più forte, che ha mostrato nella serie di avere più risorse degli avversari, perché intorno al talento sconfinato di Nowitzki, che come il vino è migliorato invecchiando, la differenza l’hanno fatta i punti e il coraggio di Terry (che per la cronaca si era tatuato il trofeo di campione NBA sul braccio a ottobre), l’esperienza di veterani come Kidd e Marion, i muscoli e la difesa di Chandler, la velocità e l’imprevedibilità di Barea, oltre all’apporto fondamentale degli Stevenson, dei Cardinal, il tutto in un sistema di gioco pensato alla perfezione in attacco e in difesa da coach Carlisle.

 

Insomma un’impressionante prova di squadra. Poi tantissima era la voglia di cancellare quella maledetta finale del 2006 (un fantasma specie per Nowitzki e Terry) e di portare a casa finalmente un titolo per una squadra piena di tanti grandi campioni e veterani che lo hanno sfiorato e sognato per anni: dagli stessi Nowitzki (13 anni in NBA con più di 22mila punti, finalista nel 2006) e Terry, a Kidd con i suoi 18 anni di NBA, migliore per triple doppie e secondo per assist nella storia del gioco, 2 volte in finale con i Nets, a Marion più volte finalista di Conference con i Sun’s di Nash e D’Antoni, a Stojakovic, che aveva assaporato la finale nel 2003 con i Kings mancandola proprio per un suo errore allo scadere. Ad ogni modo un bel lieto fine per tanti campioni che un titolo lo meritavano. Dall’altra parte verrebbe da dire che i nodi alla fine sono tornati al pettine, perché la coesione e gli automatismi, che con tanta fatica erano stati raggiunti dagli Heat negli ultimi mesi, costruiti attorno alla difesa pensata da coach Spoelstra, sono saltati appena una squadra duttile e dinamica come questi Mav’s ha richiesto degli adattamenti. Già perché è stata prima di tutto la difesa la chiave di questa serie finale, dove Dallas ha vinto le due gare decisive superando i 100 punti, cosa che Miami raramente aveva concesso alle sue avversarie in questi playoff.

 

Una volta che la sfida si è spostata sull’attacco sono emersi tutti i limiti della squadra della florida, troppo legata alla produzione offensiva dei suoi fenomeni e troppo poco abituata a costruire gioco, soprattutto in una situazione dove la difesa non dà la sicurezza e la tranquillità necessarie per ragionare in attacco. Poi che dire ancora su James, subito attaccato dai media a fine partita: il fenomeno di Miami si è spento (ancora) inspiegabilmente sul più bello (impressionante il dato che con James in campo Miami abbia un plus/minus di -24 in gara 6!) e ancora una volta ha mostrato degli innegabili limiti di tenuta mentale, limiti che sembravano in parte superati dopo le gare con Boston e Chicago e che invece sono tornati puntualmente a galla. Molto probabilmente il momento di James e di Miami giungerà, per ora, però, onore a Dallas, che ha vinto una delle finali più belle degli ultimi anni, mettendo in campo il lavoro e la costanza di una squadra e di tanti giocatori che da oggi non saranno più ricordati come perdenti.

 

(Giacomo Rampinelli)