Da Phil Jackson a Mike D’Antoni: il risveglio per la parte gialloviola della Città degli Angeli è stato duro, per non dire sconcertante. Riassumiamo: dopo la quarta sconfitta in cinque gare di regular season (contro Utah), i Los Angeles Lakers esonerano Mike Brown, che nell’estate del 2011 aveva preso il posto di una leggenda come Phil Jackson, cinque titoli allo Staples Center (e sei a Chicago, con i Bulls di Michael Jordan). Mr. Potato (“simpaticamente” chiamato in questo modo per la “somiglianza” con il famoso personaggio di Toy Story) si è fatto un nome all’interno della NBA per essere stato il primo allenatore a guidare Lebron James a una finale, ai tempi dei Cleveland Cavaliers. Correva l’anno 2007: i San Antonio Spurs spazzavano via 4-0 una squadra che, Prescelto a parte, aveva poco da offrire (chi ricorda oggi i nomi di Larry Hughes, Sasha Pavlovic, Boobie Gibson e Drew Gooden?). Attenzione agli incroci e alle storie di cui la NBA è sempre ricca: gli Spurs nella semifinale della Western Conference avevano eliminato per 4-2 i Phoenix Suns di… Mike D’Antoni. Rivalità già accesa tra le due franchigie, l’animosità era esplosa ai massimi livelli facendo diventare quella serie una delle più discusse degli ultimi anni. Gara-4: Phoenix vince in Texas e si porta sul 2-2, ma nel finale un fallaccio di Robert Horry su Steve Nash scatena la reazione della panchina Suns. Raja Bell si precipita verso Horry: fallo tecnico. Horry viene espulso, ma quello che accade è che Amar’e Stoudemire e Boris Diaw incappano nel severissimo regolamento NBA, che impone di non uscire dall’area riservata alle panchine. Risultato, una partita di squalifica a entrambi. Alla fine gli Spurs vanno avanti, ma tutto il mondo si è chiesto almeno una volta cosa sarebbe successo se. Già: perchè Mike D’Antoni, uno scudetto e una coppa Korac da allenatore in Italia, a Phoenix e nel mondo NBA è sempre stato conosciuto per essere un coach che fa giocare benissimo le proprie squadre, e però non vince. E’ successo in Arizona: con lui Steve Nash è stato due volte MVP della Lega (2005 e 2006) e per due volte i Suns sono stati a un passo dalle Finali, ma non le hanno mai raggiunte. Peggio è andata a New York, con dei Knicks che non è mai riuscito a far volare come nome, storia e blasone meriterebbero. Il suo credo cestistico è il Run & Gun: ovvero, corri e tira. Altissimo numero di possessi per gara, cronometro dei 24 secondi ignorato, chi cattura il rimbalzo apre immediatamente il gioco e via che si va. Bello, bellissimo da vedere, ma l’idea diffusa e supportata dai fatti è: con il Run & Gun vendi i biglietti, ma non vinci. Arriviamo al novembre 2012: i Los Angeles Lakers hanno avuto la peggior partenza da fine anni Cinquanta. In estate hanno portato allo Staples Center Nash e Dwight Howard sacrificando il solo Bynum, hanno – leggermente – rinforzato la panchina con Jodie Meeks e Antawn Jamison, sono candidati a riprendersi il titolo che manca dal 2010 ma non decollano. Risultato: fuori Brown, sul quale incide probabilmente la scarsa stima nutrita nei suoi confronti da Kobe Bryant, un signore che dopo 16 stagioni, 7 Finali e 5 titoli in gialloviola (con 3 MVP delle Finali e uno di regular season, al momento attuale quinto marcatore All-Time della Lega) ha un discreto credito agli occhi della dirigenza. Per un paio di giorni i tifosi Lakers coccolano l’idea del ritorno di Jackson, che si gode la pensione nel suo Montana. Buss e Kupchack ci provano, voci vicine alla franchigia si sbilanciano: “Al 95% torna Phil”. Però, alla fine non va così. Dove sta l’inghippo? Nel fatto, da comprovare in termini di assoluta certezza, che il Coach Zen chiedesse un ruolo simile a quello che Pat Riley – piccola parentesi su figure leggendarie in casa Lakers – ricopre a Miami, ovvero una sorta di presidente-manager. Tuttavia Jim Buss, figlio di quel Jerry che in prima persona ha fatto tornare grandi i Lakers ma adesso è defilato, nel 2011 gli aveva negato questa possibilità. Non parlate di Buss jr. dalle parti dello Staples Center, non tutti potrebbero essere gentili. Detto ciò, la dirigenza ha dovuto ripiegare: tra i nomi fatti (anche quello di Jerry Sloan, una vita e due Finali con gli Utah Jazz) alla fine è spuntato quello di Mike D’Antoni, che ha firmato un contratto di quattro anni. La decisione è stata naturalmente avallata da Kobe Bryant, i cui rapporti con Mike sono ottimi per la condivisione dell’avventura Olimpica (il coach era assistente di Mike Krzyzewski); ma anche da Steve Nash, per ovvi motivi. Ora, resta da capire una cosa: come faranno i Lakers ad adattarsi al Run & Gun? Se già sorgevano dei dubbi circa il matrimonio tra la Triple Post Offense, marchio di fabbrica di Phil Jackson, e il duo Nash-Howard, adesso i dubbi aumentano. Vero che con D’Antoni uno come il playmaker ex Dallas e Phoenix può essere letale (ma ha 38 anni), ma intanto i Lakers sono una squadra mediamente anzianotta:
34 anni Bryant, 32 Gasol, 33 Metta World Peace; che possano correre 48 minuti è evidentemente difficile. In più, se ancora ancora uno come Dwight Howard potrebbe trovarsi tutto sommato bene – l’atletismo non gli manca – non si capisce come lo stesso ex Ron Artest e Pau Gasol possano effettivamente rientrare nel progetto. A meno che il catalano non giochi stabilmente come centro, ma a quel punto Howard diventerebbe un sostanziale peso. Dunque: trade in vista? Prima di febbraio non si può ma non sarebbe quello il problema; il punto vero è capire se e come i Lakers intenderanno giocarsi quel paio di pedine che al momento c’entrano poco, e ovviamente se vogliano farlo. Ci sarebbe la terza via: quella che D’Antoni cambi sistema di gioco. A prima vista, difficile. In attesa di capirlo, i Lakers hanno portato a casa due partite casalinghe in fila, contro Golden State e Sacramento (pur priva di DeMarcus Cousins e Thomas Robinson); lo Staples Center ha costantemente inneggiato “We want Phil”, e Bernie Bickerstaff, coach ad interim, ha simpaticamente commentato con“Phil who?”, ben sapendo che il suo regno come head coach non sarebbe durato. Mike D’Antoni gli succede: in attesa delle sue prime parole da allenatore dei Lakers, non possiamo fare a meno di dare un’occhiata al calendario. L’esordio in gialloviola arriva allo Staples Center, nella notte tra martedi e mercoledi: avversario, i San Antonio Spurs. Se il buongiorno si vede dal mattino…