Ettore Messina, dopo una sola stagione, ha lasciato i Los Angeles Lakers (era assistente dell’attacco, agli ordini di coach Mike Brown) per accasarsi al CSKA Mosca, dove aveva già allenato e vinto l’Eurolega nel 2006 e 2008; ma l’Italia, a livello dirigenziale, sarà rappresentata ancora nel mondo della pallacanestro USA. Gianluca Pascucci, ex general manager dell’Olimpia Milano, ha accettato il ruolo di direttore del personale che gli hanno offerto gli Houston Rockets, franchigia del Texas con all’attivo due titoli NBA (1994 e 1995, gli anni di Michael Jordan in “esilio” e alla ricerca di gloria nel baseball). “Andrò a ricoprire un ruolo molto stimolante e gratificante, per il quale mi serviranno tutte le esperienze fantastiche maturate in questi anni a Milano”, così Pascucci ha salutato l’Armani Jeans: il suo ruolo sarà ora occupato da Flavio Portaluppi, già bandiera dell’Olimpia, uno dei vincitori dell’ultimo scudetto meneghino, targato Stefanel (1996). Con i Rockets, Pascucci aveva già lavorato come scout europeo. Per intenderci, il dirigente andrà a svolgere una mansione molto simile a quella che vide impegnata un’altra vecchia conoscenza di Milano e del basket italiano, Mike D’Antoni, con i Denver Nuggets, prima che i New York Knicks lo chiamassero in qualità di capo allenatore (licenziato a metà della scorsa stagione, al suo posto l’ex Atlanta Hawks Mike Woodson). Nel frattempo, il mercato oltreoceano si infiamma. Il nuovo contratto collettivo, firmato lo scorso autunno (stagione iniziata il 25 dicembre e decurtata di 16 partite per ogni squadra), ha portato nuove regole, prima tra tutte quella della possibilità di “amnistiare” un giocatore a contratto, facendo sì che il suo stipendio, comunque riconosciuto fino al termine dell’accordo, non vada a incidere sul salary cap, ovvero quel tetto che limita il totale degli ingaggi dei cestisti di una franchigia. Che è flessibile, e dunque si può sforare, a condizione che si paghi una tassa per ogni milione di dollari in surplus. A fare le spese di questa rivoluzione è stato ad esempio Luis Scola, giusto per restare in tema Rockets: Houston ha deciso di rinunciare al suo contratto, e i primi a fiondarsi sull’ala argentina sono stati i Phoenix Suns, che stanno mettendo su un bel progetto, avendo riportato a casa Goran Dragic (sempre da Houston) e preso Michael Beasley, che se mette a posto la testa è un signor giocatore. Obiettivo dei Rockets? Svuotare il salary cap nel tentativo di firmare Dwight Howard, capriccioso centro degli Orlando Magic che negli ultimi mesi ha inscenato uno stucchevole teatrino personale. Riassumendo: ha chiesto la cessione alla dirigenza, ha fatto sapere che avrebbe gradito esclusivamente i Nets (che dalla prossima stagione giocheranno a Brookyln: tanto appeal in più a livello di marketing), poi ha firmato il prolungamento con la franchigia della Florida, un mese dopo ha fatto cacciare allenatore e general manager (Stan Van Gundy e Otis Smith), infine è tornato a parlare di lasciare Orlando. I media ne hanno piene le scatole, peccato però che Howard resti il centro più forte della Lega, pur non essendo – ormai si è capito – un primo violino in grado di guidare una squadra all’anello NBA. Difensivamente sposta eccome, in attacco ha evidenti limiti (pochi movimenti, percentuale ai liberi vicina all’imbarazzo), chi lo prende però fa un affare, pur con tutti i dubbi legati alla recente operazione alla schiena. Brooklyn era in pole position potendo sfruttare il fatto che Dwight avrebbe firmato l’estensione del contratto solo con loro (va in scadenza nel 2013 e può poi decidere cosa fare del suo futuro); Deron Williams ha rifirmato nella speranza di giocare con Howard, ma poi i Nets hanno rinnovato con Brook Lopez che era la pedina di scambio: fino al 15 gennaio, sempre per il nuovo contratto, non potrà accasarsi altrove. Così, la franchigia di New York si è tirata fuori dalla corsa al centro. Vi sono rimasti i suddetti Rockets, che hanno smantellato tutto: ma lì, Howard non rimarrebbe volentieri, tanto varrebbe restare a Orlando, sempre di deserto cestistico parleremmo. E allora, ecco spuntare i Lakers: che hanno già acquisito Steve Nash, che saluta Phoenix e proverà a vincere il primo titolo di una grande carriera (ha 38 anni, e fa ancora la differenza), e vogliono sfruttare gli ultimi 2-3 anni di Kobe Bryant prima di rifondare. Sul piatto, Andrew Bynum, ottimo centro a livello offensivo ma con limiti nella propria metacampo, mai esploso del tutto e con le ginocchia fragiline: una perdita che si può assorbire, visto che i punti sarebbero comunque garantiti. Lo scambio? Quasi alla pari, con i Magic che però si vogliono liberare di almeno un contratto pesante tra quelli di Jason Richardson e Hedo Turkoglu. Los Angeles ha detto no al turco, ma sarebbe disposta ad accollarsi J-Rich, che sarebbe anche un valido cambio di Kobe. Problema:
Bynum non firmerebbe l’estensione con i Magic. Quindi, dentro una terza squadra, i Cleveland Cavaliers: dove c’è Kyrie Irving, rookie dell’anno 2012, dove è arrivato Dion Waiters dal draft e dove c’è un progetto interessante che potrebbe esplodere nel giro di un paio d’anni. Bynum ha fatto sapere che in Ohio resterebbe volentieri, e allora l’affare è – finalmente, e a scanso di altre sorprese – in dirittura d’arrivo, completato da Anderson Varejao e almeno un paio di scelte che andrebbero in Florida. Dovesse essere così i Lakers, che hanno firmato anche Antawn Jamison, tornerebbero a essere una contender, pur se restano un passo dietro i Miami Heat (che hanno acquisito Ray Allen da Boston e Rashard Lewis da Washington: pensate a quanti tiri piedi per terra per He Got Game, con le difese avversarie che collassano su Lebron James) e gli Oklahoma City Thunder, che sul mercato non si sono ancora mossi perchè al momento vanno bene così. Altri affari interessanti? L’altra metà di Los Angeles, i Clippers, si muovono bene: il veterano Grant Hill per la panchina, Jamal Crawford come guardia e Lamar Odom (un ritorno) da sesto uomo. Ultimo appunto: la Linsanity, alias follia collettiva per l’esplosione dal nulla di Jeremy Lin, si sposta a Houston. I Rockets avevano presentato un’offerta, New York era pronta a pareggiarla e allora dal Texas hanno alzato la posta: triennale da 25 milioni complessivi. I Knicks, spaventati dalle cifre del terzo anno di contratto, si sono ritirati a malincuore. Il giocatore, dal canto suo, prima si è detto felice della destinazione, poi ha fatto sapere che avrebbe preferito rimanere al Madison Square Garden. Tant’è: a Houston, dove hanno avuto Yao Ming, hanno fiutato l’affare, non solo a livello cestistico (tecnicamente sarebbe stato meglio confermare Kyle Lowry, che invece è finito a Toronto, dove trova un altro ex Knicks, ovvero Landry Fields). E’ già successo tanto: dopo le Olimpiadi di Londra, altro succederà.
(Claudio Franceschini)