Aveva 79 anni Jerry Buss: si è spento in mattinata, al Cedars-Sinai Medical Center. Cancro: da venerdi si trovava qui, malato terminale in attesa di andarsene. Il mondo della NBA lo piange. 79: un numero che nella storia dei Los Angeles Lakers fa parte del destino. E’ iniziato da qui il regno di Buss senior con i gialloviola, una delle squadre più famose della National Basketball Association, forse la più famosa: sedici titoli, innumerevoli giocatori (14) presenti nella Hall of Fame, maglie ritirate che pendono dal soffitto dello Staples Center, casa della franchigia che si è spostata qui nel 1999 dal mitico Great Western Forum. 1979: Jerry Buss compra i Los Angeles Lakers insieme al palazzetto di cui sopra, a un ranch e ai Los Angeles Kings, squadra di hockey su ghiaccio che più tardi (nel 1988) accoglierà Wayne Gretzky. Il primo gesto da proprietario dei gialloviola? Assicurarsi la prima scelta al draft, e selezionare un certo Earvin Johnson, che già tutti hanno imparato a chiamare Magic. Diventerà uno dei playmaker più forti di sempre: cinque anelli, l’era dello Showtime insieme a Kareem Abdul-Jabbar, James Worthy, Byron Scott, gara-6 delle finali NBA (da matricola) giocata come centro (spezzoni, non tutta la partita) e chiusa con 42 punti, 15 assist e 7 rimbalzi e il titolo di MVP della serie, primo rookie nella storia a riuscirci. Sempre nel 1979 un giovane Pat Riley, già giocatore della squadra, diventa vice allenatore dei Lakers dietro Paul Westhead: ancora due anni, e Buss licenzierà Westhead su input di Magic, affidando la squadra a Riley (dopo la rinuncia di Jerry West), che diventerà l’allenatore dello Showtime (celebre la sua frase alla parata per il titolo del 1987: “And I guarantee everybody here: next year we’re gonna win it again”. Vinsero ancora).  I Lakers avevano già Norm Nixon in squadra, ovvero un ottimo regista: ma Buss capì che quel giocatore andava preso. Nel 1982 vuole di fianco a sè, in qualità di general manager, Jerry West: con lui costruisce la squadra che agli ordini di Phil Jackson (che diventerà poi il fidanzato della figlia Jeanie) vince tre titoli consecutivi. Come? Scambiando il centro Vlade Divac con un ragazzino di 18 anni che ha saltato l’università, tale Kobe Bryant, cresciuto in Italia e scartato ai tempi dalla squadra di basket della scuola che frequentava. La guardia di Philadelphia diventerà in poco tempo il giocatore più forte della Lega. Dimenticavamo: lo stesso anno firma come free agent un certo Shaquille O’Neal, centro dominante (un solo dato: nelle finali del 2000 contro Indiana terrà una media di 38 punti per partita). I due, Bryant e Shaq, formeranno per otto anni una delle coppie più devastanti di sempre, scioltasi per dissidi interni (così si è sempre detto). Proprio O’Neal gli aveva fatto arrivare un messaggio: 



“Penso a lei Dr. Buss, vorrei vederla presto”. Da qualche anno però Jerry aveva lasciato la direzione dei Lakers al figlio Jim: personaggio non propriamente amato dai tifosi per usare un eufemismo, a lui si deve il mancato approdo (per la terza volta) di Phil Jackson in panchina lo scorso anno, dopo l’esonero di Mike D’Antoni. “Jerry Buss ha aiutato a mettere questa Lega dove si trova oggi”, così ha voluto omaggiarlo David Stern, di fatto il padre-padrone della NBA. “Ci ha fatto capire l’importanza dello Showtime, dell’uso dell’arena come punto focale per l’intrattenimento“. Dal 2010 Jerry Buss era entrato a far parte della Hall of Fame. Come Magic Johnson, come Kareem Abdul-Jabbar, come James Worthy e tutti gli altri giocatori che ha voluto a Los Angeles, e che hanno reso grandi i Lakers. Addio Dr. Jerry, ci mancherai.



 

(Claudio Franceschini)

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