Spettacolo doveva essere, e spettacolo è stato. Spazi vuoti sugli spalti come nelle ultime edizioni (la crisi si fa sentire anche qui) ma la partita delle stelle che ha chiuso l’All Star Game NBA di Houston non ha deluso le aspettative. Non era certo una partita da seguire per il punteggio: le star della Lega erano in Texas per divertire e divertirsi, prendersi una pausa dalla lunga e sfiancante stagione e dimenticare per un attimo le fatiche della corsa ai playoff o al miglior record di Conference. Da qualche anno il programma del venerdi e del sabato ha perso un po’ di interesse: certo ha strabiliato la prestazione nella gara del tiro da 3 punti di Kyrie Irving (17/18 iniziale), ma già lo Slam Dunk Contest ha leggermente deluso, non si sono viste cose strabilianti e soprattutto i giocatori non erano di troppo appeal (tutti elementi che nelle loro franchigie giocano poco o niente). Lo skills challenge poi – sorta di gara di abilità nel palleggio e passaggio e per questo riservata ai playmaker – non tira particolarmente e non se ne capisce il senso, quantomeno nella gara di “giro del mondo” (come lo chiamavamo, e lo chiamiamo tuttora, quando viene praticato al campetto sotto casa) abbiamo potuto rivedere vecchie glorie come Dominique Wilkins o Robert Horry (peraltro idolo di casa). Quello che tutti aspettavano era però la gara della domenica, tra le migliori stelle NBA; quella alla quale non ha partecipato Danilo Gallinari, che ha avuto parole polemiche nei confronti della scelta (ma diciamolo subito: pur se il nostro non avrebbe sfigurato di fianco a Kobe Bryant e LeBron James, la sua esclusione non è uno scandalo). Il copione ha seguito l’andamento scritto: primi tre quarti con giocate ad elevatissimo tasso di difficoltà, ultimi dodici minuti in cui le squadre hanno giocato sul serio. Si è visto di tutto: Durant, Westbrook e Harden hanno ricomposto il trio di Oklahoma City almeno per una notte, Blake Griffin ha inchiodato alley oop e schiacciate aiutandosi con il vetro, Chris Paul aveva quattro assist dopo sette minuti. Kyrie Irving, dopo aver dominato la gara dei “giovani”, è stato protagonista anche qui; la gara ha avuto 22 cambi di leader nel punteggio, il massimo vantaggio è stato di 11 punti (per la Western Conference) ma poi si è arrivati a giocarsi la partita agli ultimi possessi. Tutti aspettavano LeBron James, che in campionato sta tenendo il record per prestazioni consecutive sopra i 30 punti e con percentuali superiori al 60% dal campo; ma dalla contesa è uscito Kobe Bryant, che per una volta è stato ecumenico (9 punti e 8 assist, seguendo la linea delle ultime partite con i Los Angeles Lakers). Due stoppate favolose sul Prescelto (una sull’arresto e tiro, da dietro, l’altra tenendogli la penetrazione) hanno fruttato una schiacciata di Kevin Durant (nessuno ha segnato più di lui dopo le prime quattro partecipazioni all’All Star Game) e un possesso vitale. Alla fine è stato 143-138 per l’Ovest, e il trofeo di MVP (miglior giocatore della partita) è andato a Chris Paul, che ha chiuso con 20 punti e 15 assist. Da domani si torna a giocare sul serio: la stagione NBA entra nel vivo, le squadre vanno a caccia dei loro obiettivi e giovedi sera si chiude il mercato di febbraio. Come cambieranno le franchigie? I Los Angeles Lakers venderanno Gasol per un elemento più funzionale? Arriverà il giocatore giusto per Oklahoma City? I Chicago Bulls punteranno tutto sul rientro di Derrick Rose? Lo scopriremo presto.



(Claudio Franceschini)

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