Ricordate “La partita della febbre”? Non l’unica partita a essere entrata nella storia quando si tratta di Michael Jordan, un personaggio del quale Larry Bird disse, dopo una prestazione mostruosa sul mitico parquet incrociato del Boston Garden, “era Dio travestito da Michael Jordan”; questa però più di altre è entrata nell’immaginario collettivo. Perchè erano le finali NBA, eravamo in parità, c’erano di mezzo gli Utah Jazz di Karl Malone e John Stockton e, soprattutto, il numero 23 dei Chicago Bulls segnò la tripla della vittoria al termine di una partitella delle sue. Chi c’era o ha semplicemente visto, ricorderà certamente un Jordan che non si regge in piedi e deve venire portato fuori da Scottie Pippen praticamente di peso. Perchè? Perchè Sua Maestà aveva giocato con la febbre, e la temperatura si faceva sentire eccome. Bene: chiarito lo scenario, a quasi 16 anni di distanza arriva il retroscena a rendere ancora più epica l’impresa: Jordan sarebbe stato avvelenato. A raccontarlo è Tim Grover, all’epoca dei fatti personal trainer di Michael Jordan. Si giocava a Salt Lake City ed eravamo sul 2-2: per gli Utah Jazz c’era la grande opportunità di portarsi in vantaggio nella serie e mettere paura ai Bulls, quattro titoli NBA nelle sei stagioni precedenti. Chicago alloggiava al Park Hotel, particolare probabilmente noto a tutta la città. Improvvisamente, sono circa le 21, alla squadra viene un attacco di fame. “L’unica cosa che potevano mangiare era una pizza“, dice Grover a , ricordando come il ristorante fosse chiuso da tempo. Così avviene: la pizza arriva, ma Grover avverte subito un “cattivo presentimento”. Si fermano tutti, tranne Air che, divorato dai morsi della fame, non ci pensa due volte e finisce la sua pizza in un istante. Verso le due di notte però Grover viene chiamato nella camera del 23: “Entro, e lo trovo in posizione fetale, steso sul letto“. Cerca le medicine, ma si rende conto subito che non si tratta di febbre, ma di qualcosa di peggio: intossicazione alimentare. Eccoci qui: un semplice aneddoto un po’ colorito per alimentare la leggenda di quello che per molti è il più grande giocatore di basket della storia? Forse, o forse no: perchè…



Michael Jordan era capace di cose come questa, cioè entrare in campo debilitato e segnare 38 punti, condendoli con 5 assist e 7 rimbalzi (la partita finì 90-88 a favore dei Bulls, che poi vinsero il titolo). Fuori casa, in una finale NBA. Il tiro decisivo? Una formalità. Lo avrebbe ripetuto l’anno seguente, mandando al bar con una finta Bryon Russell e causandogli mal di testa per almeno due mesi. Per Sua Maestà, insomma, una giornata in ufficio come un’altra. Un ufficio nel quale ci sono sei anelli di campione NBA.

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