Sarà la finale contro la favorita della vigilia e l’underdog che però ha sangue blu nelle vene. Louisville contro Michigan: benvenuti alla finale NCAA 2013. Si gioca ad Atlanta, ore 3:30 circa (in Italia): abbiamo già scritto di come questo evento sia in grado di paralizzare l’America. A ben guardare, le storie nella partita ci sono anche qui. Innanzitutto Louisville: la squadra che tutti pronosticavano come vincitrice della stagione universitaria ben prima che la March Madness iniziasse. E’ arrivata qui triturando avversari su avversari, e concedendo a Rick Pitino un’altra occasione per portare a casa il secondo titolo di campione NCAA (il primo con Kentucky nel 1996), dopo che lo scorso anno il cammino dei Cardinals si era interrotto in semifinale contro, guarda un po’, i Wild Cats di Anthony Davis. Stavolta nemmeno i Blue Devils di Duke sono riusciti a fermare la corazzata biancorossa: anzi, la squadra di coach K si è arenata nell’Elite Eight sotto 22 punti di scarto. I Cardinals hanno ben chiara la missione: vincere il titolo per Kevin Ware, il cui terrificante infortunio proprio nella partita contro Duke ha sconvolto tutta una nazione. Quella sera i Cardinals hanno buttato il cuore oltre l’ostacolo e hanno vinto per lui; poi lo shock a freddo si è fatto sentire, e Pitino ha rischiato di gettare tutto alle ortiche contro la favola zuccherata di Wichita State, arrivata alle Final Four contro tutti i pronostici e capace di prendere un vantaggio di 12 punti nel secondo tempo. Ci hanno pensato come al solito Russ Smith (sempre oltre i 20 punti nel torneo) e il centro Dieng a rimettere le cose a posto, e a concedere a Pitino un altro viaggio alle Finali. Dall’altra parte ci sono invece i Wolverines di Michigan, che mancavano alle Final Four dal 1993. Quello era uno squadrone: li chiamavano i Fab Five. Jimmy King, Jalen Rose, Juwan Howard, Ray Jackson e Chris Webber si fermarono per due volte consecutive contro Duke e North Carolina, guardando Bobby Hurley e Donald Williams festeggiare; oggi i loro eredi tornano a giocarsi una finale con una squadra sulla carta fuori dai pronostici di vittoria ma tremendamente efficace sul parquet, formata da giovanissimi come il centro Mitch McGary (al primo anno e divenuto titolare inamovibile e miglior marcatore dei suoi) e come dicevamo figli d’arte: Tim Hardaway Jr, Glen Robinson III, Corey Person e anche Jon Horford, fratello di Al che è il centro degli Atlanta Hawks. La stella però è un figlio di “nessuno”: 



Trey Burke, playmaker che sta viaggiando a 19 punti e 7 assist di media, ha già vinto il premio di miglior giocatore e a giugno sarà scelto nel draft NBA. E’ lui l’uomo sul quale coach John Beilein, che ha qualificato Michigan per la quarta volta in sei anni al torneo NCAA, punta maggiormente: si è visto anche nella semifinale contro Syracuse, che è arrivata alle Final Four quest’anno e non nel 2012, quando era più accreditata per la presenza di Dion Waiters (oggi in NBA, a Cleveland) ma perse Fab Melo per problemi accademici. La semifinale ha avuto poca storia, anche se gli Orange hanno riprovato a portarsi sotto grazie a una tripla di James Southerland ma hanno dovuto abdicare di fronte alla palla persa di Brendon Triche nell’ultimo possesso e alla serata di scarsa vena di Michael Carter-Williams, con tutta probabilità una delle stelle del prossimo draft. Così, questa notte si affrontano due squadre che arrivano con prospettive diverse ma la stessa voglia di portarsi a casa il titolo. Perchè gli anni di college durano poco, ma un trofeo di campione NCAA è per sempre.



 

(Claudio Franceschini)

 

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