Il fatto: l’Olimpia Milano è fuori dall’Eurolega. La sconfitta di ieri sera sul parquet della Nokia Arena è valsa il 3-1 nella serie di playoff in favore del Maccabi Tel Aviv, che raggiunge il Barcellona alle Final Four (CSKA Mosca-Panathihaikos e Real Madrid-Olympiakos aspettano gara-5). Nemmeno il pungolo dell’atto finale da giocarsi in casa, al Mediolanum Forum, è bastato: gli israeliani sono stati nel complesso superiori, e hanno meritato la qualificazione. Ma Milano esce a testa alta, dopo un’Eurolega da 16 vittorie e 12 sconfitte, dopo aver rifilato 30 punti (o giù di lì) a Olympiakos e Barcellona, dopo aver vinto al Pireo, dopo aver giocato alla pari contro squadroni più esperti e, in qualche caso, anche più attrezzati. All’indomani di un’eliminazione però bisogna sempre fare mente locale e analizzare i perchè: che non sempre si può vincere è storia scritta e vissuta, che si possa sempre migliorare imparando dagli errori altrettanto. Il basket è un gioco complesso ma, se vogliamo, anche semplice nella sua risoluzione: qui non ci sono pali e traverse, non ci sono lunghi assedi con il portiere avversario che fa i miracoli. Nove volte su dieci, se giochi meglio vinci. Capire dove risieda la sconfitta di Milano non è immediato: la versione “alla buona” dice che l’EA7 ha perso il playoff quando ha mollato gara-1, già vinta, in mano al Maccabi negli ultimi minuti. Un suicidio: da +12 alla parità in due minuti. L’Olimpia guarderà da casa le Final Four per l’errore dalla lunetta di Keith Langford? Sì e no: vero che la serie avrebbe preso un’altra direzione (facile: 1-0 invece di 0-1), ma vai a sapere se 48 ore dopo il Maccabi non avrebbe giocato con il sangue agli occhi espugnando il Forum. Di sicuro Luca Banchi deve esigere che i suoi si allenino al tiro libero: nelle tre sconfitte sono arrivati un 26/33, un 19/28 e un 7/17 dalla linea della carità. Totale 52/78, percentuale 66,7%. Pochino: a questi livelli non si può regalare niente (gara-1 è stata persa di 3, gara-3 di 12). Ma c’è dell’altro: per esempio il fatto che nelle prime due partite l’Armani abbia impattato la lotta a rimbalzo, mentre a Tel Aviv sia sempre andata sotto. Oppure il fatto che lo stesso Langford, scottato dagli errori di gara-1 (anche una palla persa nel supplementare), nella quarta partita si sia preso 20 tiri contro tutti gli altri compagni che ne hanno effettuati meno di 10. Percentuali buone (50% complessivo) ma con l’effetto di non mettere in ritmo i compagni, che quando hanno dovuto giocoforza prendere in mano le cose non erano pronti (e infatti Samuels ha chiuso con 2/8, Hackett con 3/8, Moss con 1/5 da 3 punti). E se il divario di 20 punti alla sirena non è attendibile (gli ultimi due minuti sono stati garbage time), va pure detto che l’Armani è entrata nell’ultimo periodo sopra di 2, ed è inesorabilmente crollata, perdendo anzi il secondo tempo con un totale di . Numeri freddi che dicono poco? Forse, e forse no: 



Riassumendo il tutto, si può parlare di mentalità. In gara-1 l’EA7 aveva in mano la partita, ma quando si è trattato di gestire vantaggio e cronometro ha eseguito male, frettolosamente e senza ritmo; in gara-3 ha iniziato bene, ma non ha saputo rimanere a contatto; in gara-4 infine non ha resistito all’onda d’urto del Maccabi. Se due indizi fanno una prova, qui ne abbiamo tre; e il quarto è la semifinale di Coppa Italia. Insomma: forse la facciamo troppo semplice anche noi, e magari va accettato che la squadra di David Blatt era superiore in termini generali. Ma Banchi e i suoi adesso hanno una stagione da concludere e uno scudetto da vincere, e se pure possono pensarla così devono porvi rimedio sul parquet: il coach sa come si vince da super favoriti, e sa come si fa da outsider (vedi lo scorso anno). Questione di mentalità (si può insegnare), voglia di vincere (aumenta strada facendo, e le sconfitte servono eccome) ed esecuzioni: sembra semplice e non lo è, ma l’Olimpia ha tutto per arrivare, finalmente, al porto. 



(Claudio Franceschini)

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