Si è dimesso da allenatore dei Los Angeles Lakers. Diciamolo subito: la parte gialloviola della città non aspettava altro, come dimostrato anche dalla reazione su Twitter di Magic Johnson, uno che da queste parti il diritto a dire due o tre parole dovrebbe esserselo guadagnato. “Sono giorni felici”, ha scritto il playmaker dei tempi dello Showtime, riassumendo il concetto di tutti i tifosi. Assunto il 12 novembre 2012 per rimpiazzare Mike Brown, a sua volta mal digerito da un popolo che si era abituato fin troppo bene a un certo Phil Jackson (il quale è tuttora invocato allo Staples Center, più o meno ogni sera), D’Antoni lascia con un record complessivo di 67-87, diventando il secondo allenatore negli ultimi 17 anni ad aver fallito la qualificazione ai playoff (il primo, nel 2005, Frank Hamblen che aveva preso il posto di Rudy Tomljanovich). La scorsa stagione ce l’aveva fatta grazie a un ottimo rush finale, ma solo per essere eliminato dai San Antonio Spurs senza vincere una partita nella serie. “Date le circostanze, non so se qualcuno avrebbe potuto fare un lavoro migliore di quello che Mike ha svolto negli ultimi due anni” ha commentato il general manager Mitch Kupchak. “A nome dei Lakers, ringraziamo D’Antoni per l’etica del lavoro, la professionalità e l’attitudine positiva che ha portato ogni giorno in squadra”. Sulla prima parte si può essere parzialmente d’accordo: raramente si è vista una serie di infortuni come quella che ha colpito i Lakers, non ultimo quello dello stesso Kobe Bryant che ha saltato la parte finale della scorsa stagione e quest’anno ha giocato appena 10 partite. Il problema è un altro e ci rientra anche Jim Buss, il figlio del compianto Jerry e una delle ragioni per le quali Phil Jackson non è stato richiamato dopo l’addio di Mike Brown: LA ce l’aveva in mano, lui era disposto a tornare dal suo dorato esilio nel Montana ma dr. Jim ha detto no. Faide familiari a parte, quello che non è piaciuto ai tifosi gialloviola è stato il fatto di aver chiamato D’Antoni, conosciuto per il suo stile Run&Gun, ad allenare un gruppo con Bryant che ha sempre vissuto di isolamenti e uno contro uno, e soprattutto Dwight Howard, un centro dominante e atletico ma che non può essere portato a giocare fuori dall’area. In più, con l’ex Milano e Treviso Pau Gasol stava per trasformarsi in un 4 perimetrale adibito quasi esclusivamente al tiro da 3 punti; insomma, una confusione tattica che certamente non ha aiutato a migliorare una situazione già precaria, nè è migliorata con la presenza di Steve Nash che per due anni ha avuto problemi alla schiena. Adesso i Lakers devono ponderare per bene le loro scelte: al draft di giugno possono sperare in una chiamata alta, ma devono prima risolvere le situazioni contrattuali di Gasol e Steve Nash che per il momento intasano il salary cap e impediscono operazioni se non quelle di free agency (il nome principale è Kevin Love, che però aveva fatto sapere di voler restare a Minnesota). Probabile allora che si ragioni già in ottica 2015, tenendo però conto del fatto che Bryant vorrà vincere da subito;  



Tra i candidati alla panchina si vocifera ci sia anche Ettore Messina, che per una stagione era già stato assistente per l’attacco dei Lakers. Difficile però che Buss e Kupchak si affidino a lui (cercato anche dagli Utah Jazz); molto più probabile che si vada su una scelta diversa, per esempio quella di George Karl che era stato capace di trasformare i Denver Nuggets in una franchigia vincente e portarla fino alla finale di Conference. In lizza anche Mike Woodson, che ha lasciato i New York Knicks dopo il fallimento 2013-2014; Stan Van Gundy, che ha raggiunto la finale 2009 con gli Orlando Magic e poi è stato fatto fuori su “richiesta” di Dwight Howard; il fratello Jeff, oggi affermato commentatore tv e un tempo finalista con i New York Knicks; Lionel Hollins, lasciato a piedi dai Memphis Grizzlies dopo averli condotti alla finale della Western Conference. Altre idee, ma sembrano essere più suggestioni del “popolo”, porterebbero all’ex giocatore gialloviola e assistente di Phil Jackson Brian Shaw, che però è sotto contratto a Denver, e soprattutto a Rick Adelman, forse non troppo apprezzato nella Città degli Angeli per essere stato head coach di quei Sacramento Kings che contro i Lakers diedero vita a una delle serie playoff più belle di sempre (finale della Western Conference 2002, 4-3 Los Angeles che vinsero la settima in trasferta). Tuttavia, resta uno degli allenatori più preparati di sempre; in seguito ha guidato anche gli Houston Rockets (semifinale di Conference nel 2009 e bellissima serie contro i Lakers, persa 4-3) e per tre stagioni è stato a con i Minnesota Timberwolves. Ha annunciato il suo ritiro ma chissà: davanti a una sfida simile potrebbe ripensarci, pur se i Lakers gli dovranno nel caso garantire un gruppo capace di vincere subito, o almeno nel giro di due anni. 



(Claudio Franceschini)

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