L’immagine da salvare: nel mezzo dei festeggiamenti per il titolo della Western Conference, in una Oracle Arena scintillante e ammantata di giallo, Draymond Green si avvicina al Reverendo Mark Jackson, ex playmaer ed ex allenatore del succitato Green, oggi commentatore tv, lo abbraccia e lo ringrazia. Se i Golden State Warriors sono qui lo devono anche a lui, che si era fermato in anticipo ma che questo gruppo lo ha plasmato e modellato. Siamo alla finale NBA 2014-2015: Golden State Warriors-Cleveland Cavaliers. La finale più attesa?
Forse sì, perchè la squadra migliore di regular season è presente e e perchè, a ben guardare, nessuna delle potenziali contender della Eastern Conference aveva la stoffa e i crismi per arrivare in fondo. Gil Atlanta Hawks di certo, ma hanno pagato dazio agli infortuni e alla voglia di un signore con il numero 23, e senza più fascetta, che cinque anni fa aveva lasciato l’Ohio per South Beach promettendo di tornare con qualche titolo e tanta esperienza in più. Non gli avevano creduto e avevano bruciato le sue magliette, ma poi LeBron James è tornato davvero: alla prima occasione ha trascinato Cleveland in finale dopo otto anni. Allora fu uno sweep, 0-4 dai San Antonio Spurs; oggi potrebbe essere un’altra faccenda, perchè nel frattempo due anelli sono alle dita, lui è tutt’altro giocatore (sembra impossibile ma è così) e questa Cleveland sembra avere un cast di supporto più competitivo di quello di allora. Anche senza Kevin Love e con Kyrie Irving a mezzo servizio, o forse anche meno. Il problema per i Cavs si chiama Golden State. Una squadra che ha vinto 67 partite in regular season; una squadra che pratica un basket offensivo ammaliante e splendido ma che quando decide di difendere non fa passare uno spillo; una squadra che ha in Steph Curry l’MVP della stagione e un giocatore pazzesco. I pronostici sono aperti, anche per individuare le possibili chiavi della serie. Il duello Bogut-Mozgov sotto le plance è uno dei tanti; le accelerazioni di Curry e James un altro; e poi gli incroci sul campo, la marcatura di Klay Thompson e Andre Iguodala sul prescelto e, dall’altra parte, quanto Iman Shumpert e Matt Dellavedova riusciranno a limitare l’MVP. E ancora: la capacità di fare tutto di Draymond Green, l’intensità e i rimbalzi offensivi di Tristan Thompson, la panchina lunga dei Warriors (Livingston, Leandro Barbosa) e le triple di JR Smith. Gli ingredienti sono tanti, può venirne fuori una ricetta spettacolare e, possibilmente, dalla lunga preparazione; tradotto, che si vada a gara-7 e poi vinca il migliore.
(Claudio Franceschini)