I Golden State Warriors sono i nuovi campioni della National Basketball Association. L’anello, il quarto in assoluto nella storia della franchigia californiana, è arrivato al termine della sesta gara delle Finals, lo scontro tra i campioni dell’Est e quelli dell’Ovest che va a sigillare l’annata agonistica del grande basket a stelle e strisce. Un ritorno in vetta, quello dei Warriors, che avviene a ben quattro decenni di distanza dall’ultimo titolo vinto. Era infatti il quando la squadra dello stato dorato (altro nome con cui viene indicata solitamente la California) vinse a sorpresa il titolo con uno dei ribaltoni più clamorosi nella storia della lega. Partiti senza grandi credenziali, Rick Barry e compagni riuscirono infine a prevalere sui Washington Bullets per 4-0.



Da quel momento poca gloria, con qualche sporadico titolo di conference o di division, almeno sino al 2012, considerato il vero spartiacque nella storia della franchigia di Oakland. Proprio nell’anno in cui i Warriors hanno annunciato l’intenzione di tornare a San Francisco entro il 2017, è infatti avvenuta la definitiva maturazione di Stephen Curry, l’uomo della provvidenza. Il playmaker di Akron (è compaesano di LeBron James), dopo una lunga serie di guai fisici che ne avevano parzialmente limitato il rendimento sino a quel momento, è infatti riuscito a mostrare tutto il talento di cui era universalmente accreditato. La sua esplosione si è saldata alla concomitante maturazione di Klay Thompson e al ritorno di David Lee, formando una miscela pronta ad esplodere al più presto. Una esplosione giunta nel 2013-14, quando i Warriors sono riusciti a tornare ai play-off, grazie alla sesta posizione conquistata ad Ovest. Nella lotteria post-season la squadra dello stato dorato ha quindi eliminato i favoriti Denver Nuggets, prima di cedere le armi davanti ai San Antonio Spurs, poi capaci di vincere il titolo. Allo stesso tempo è arrivato un altro tassello fondamentale nella costruzione di Steve Kerr, ovvero Andrè Iguodala, esterno atipico, capace di difendere anche contro avversari più alti e dotati di muscoli. Con il suo arrivo, il roster ha acquisito una profondità sconosciuta ai team avversari, dando vita ad una miscela estremamente indigesta per chiunque. La conferma dell’assunto è arrivata sin dalle prime battute della regular seasons, quando i Warriors, letteralmente trascinati a suon di triple da Curry e Thompson, hanno messo in chiaro i loro propositi. A fare la differenza è stata in particolare la capacità di preparare soluzioni micidiali per la batteria dei tiratori, alternandole ai giochi coi lunghi e ad una difesa capace di limitare i danni all’occorrenza. Dopo aver chiuso la prima parte della stagione con il miglior record assoluto, assicurandosi la possibilità di giocare l’eventuale finale in casa, Golden State ha quindi affrontato il primo turno della post season contro i Pelicans di New Orleans, estromettendoli con un secco 4-0. Nel secondo turno, Curry e compagni si sono invece trovati di fronte i Memphis Grizzlies, probabilmente lo scoglio più arduo, dall’alto del duo formato da Marc Gasol e Zach Randolph, capaci di assemblare intorno a loro la miglior difesa della lega. Una difesa scardinata però dalla sopraffina regia di Curry e dalla consueta pioggia di bombe che la batteria dei tiratori di Golden State ha riservato alle proprie avversarie.



Alla fine è stato 4-2 per i californiani, i quali si sono quindi potuti preparare al meglio per la sfida contro gli Houston Rockets di Harden, proprio la squadra che Dwight Howard, a lungo cercato dai Warriors, aveva scelto nel 2013. Una finale di conference senza storia, in cui Houston non ha potuto fare nulla di fronte ad un Curry in stato di grazia, terminata con un secco 4-1. Infine le Finals contro i Cleveland Cavaliers di LeBron James, azzoppati letteralmente dalle assenze pesantissime di Kevin Love e Kyrie Irving, che hanno posto tutto il peso dello scontro sulle pur capaci spalle del Prescelto. Dopo una prima gara vinta dai Warriors, proprio un immenso James è riuscito a ribaltare le sorti della serie portando avanti i Cavaliers con una serie di prestazioni straordinarie. Uno sforzo però troppo grande di fronte alla varietà di soluzioni di Golden State e alla profondità di un roster da cui Kerr ha potuto tirare fuori di volta in volta soluzioni sempre diverse. Nella quarta, quinta e sesta gara ancora Curry è poi tornato sui suoi consueti livelli, dopo un avvio in tono minore e per Cleveland è scesa la notte fonda. Ora ai tifosi di Golden State non resta che da festeggiare una annata dominata da cima a fondo, sperando che si tratti dell’avvio di un ciclo vincente.

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