Dopo 41 anni i Golden State Warriors vincono il titolo di basket NBA. Decisiva gara-6 alla Quicken Loans Arena, dove la franchigia della California si è imposta per , chiudendo la serie sul 4-2 contro i Cleveland Cavaliers. Forse è giusto così: Golden State ha dominato la stagione regolare ed è la squadra che ha mostrato il miglior basket, non soltanto offensivamente ma anche nel contenere gli attacchi avversari. Un successo non annunciato ma costruito nel tempo, con grande protagonista Steve Kerr che da esordiente in panchina si prende l’anello ma deve ringraziare anche il suo predecessore Mark Jackson, fondamentale nell’aver plasmato questo straordinario gruppo.



Da Rick Barry a Steph Curry, da Jamaal Wilkes a Klay Thompson; l’MVP delle finali però non è il numero 30, già miglior giocatore della regular season, ma un inaspettato Andre Iguodala, che anche in gara-6 ha fatto sentire il suo apporto (25 punti, 5 rimbalzi e 5 assist) risultando determinante in una serie nella quale invece è mancato Klay Thompson (5 punti nella notte con 2-7 dal campo, però la tripla che ha forse chiuso definitivamente i giochi, dall’angolo per il +14 a 6 47” dalla sirena) e in cui il suddetto Curry non ha mostrato il consueto delirio di onnipotenza, ha tirato male nella partita decisiva (8-19, 3-11 nelle triple) pur segnando 25 punti con 8 assist e 6 rimbalzi. E’ la vittoria di tutti, anche di chi ha giocato meno; di Andrew Bogut che ha passato le ultime due gare – e buona parte della terza – in panchina ma in regular season aveva dato un supporto più che importante. Di David Lee, scongelato dal fondo delle rotazioni e tornato a far valere il suo peso anche contrattuale (pur se ha 10 minuti negli ultimi due episodi); di Shaun Livingston, Justin Holiday e Festus Ezeli, comprimari di lusso; e di Draymond Green, scelto al secondo giro, diventato collante indispensabile in una squadra da titolo e con l’enorme soddisfazione di chiudere gara-6 con una tripla doppia (16 punti, 11 rimbalzi e 10 assist). E’ giusto così, dicevamo; anche se ci resta l’amaro in bocca per non aver saputo come sarebbe finita se Cleveland avesse potuto disporre di Kevin Love e di Kyrie Irving (che ha giocato solo gara-1).



LeBron James è stato ancora meraviglioso: ha avuto 32 punti (pur tirando 13-33), 18 rimbalzi e 9 assist, ha probabilmente raggiunto la definitiva consacrazione pur nella sconfitta ma ha predicato in un deserto nel quale i soli Timofej Mozgov (17 e 12 rimbalzi) e Tristan Thompson (15 e 13 rimbalzi) hanno dato il contributo sperato, perchè sarà pur vero che JR Smith ha segnato 19 punti ma lo ha fatto con 5-15 dal campo. Anche Matt Dellavedova è presto rientrato nei ranghi; le strepitose gare che avevano dato il vantaggio ai Cavs sono finite in naftalina e il play australiano, poco abituato a giocare così tanti minuti, ha finito con 6 punti nelle tre partite vinte dai Warriors (1 nella notte, con 0-3 e senza triple tentate). La partita è stata in ogni caso equilibrata: Golden State ha dato la prima spallata (28-15 al 12’) ma all’intervallo lungo era avanti di soli 2 punti. Con un terzo quarto da 28-18 i Warriors hanno legittimato la loro superiorità; adesso iniziano i festeggiamenti, con un occhio all’estate in cui si cercherà di confermare e magari rinforzare un gruppo straordinario.