Gioca l’ultima partita della sua carriera di giocatore di basket. Appuntamento allo Staples Center alle ore 4:30 della mattina italiana di giovedì: Los Angeles Lakers-Utah Jazz non vale nulla per i Lakers che hanno un record di 16-65 e sono la penultima squadra NBA, vale tantissimo per i Jazz ancora in corsa per i playoff (devono vincere e sperare nella sconfitta di Houston) ma vale soprattutto per tutti gli appassionati di pallacanestro. Dopo 20 anni di carriera, tutti spesi nei Lakers, Kobe Bryant dice basta: lo aveva annunciato nel corso di questa stagione, vessato da alcuni infortuni nelle ultime stagioni e consapevole, come ha scritto in una lettera idealmente dedicata al basket, di non poter più dare il suo contributo al 100%. Da allora è iniziata una lunga, lunghissima ovazione nei palazzetti di tutta America. Anche in quelli più ostili: Boston, storica “nemica” dei Lakers, oppure Philadelphia, la città natale che lo ha sempre accusato di averle voltato le spalle, ma anche San Antonio con cui i Lakers hanno avuto una strepitosa rivalità nei primi anni Duemila. Tutti si sono stretti in applausi sinceri e commossi, perchè si può avere una squadra del cuore e tifare spasmodicamente per l’avversario, ma è innegabile che Bryant sia entrato di diritto nell’Olimpo del basket NBA, e questa è una cosa che nessuno può negare. Le cifre parlano di 1342 partite di regular season; di 33521 punti (media 24,98), terzo dietro ai soli Kareem Abdul-Jabbar e Karl Malone e davanti anche a Sua Maestà Michael Jordan (che però ha una media di 30,12). Cinque titoli NBA (la tripletta 2000-2002 e il back to back 2009-2010), due volte MVP delle Finali, un MVP della regular season (e almeno un altro lo avrebbe meritato), undici volte inserito nel primo quintetto della stagione, nove volte inserito nel primo quintetto difensivo. Ancora: 18 partecipazioni consecutive all’All Star Game (un record) con 4 MVP (uno in compartecipazione con l’amico/nemico Shaquille O’Neal), due ori olimpici con gli Stati Uniti e una prestazione da 81 punti, contro i Toronto Raptors il 22 gennaio 2006, che è la seconda di sempre alle spalle dei soli 100 di Wilt Chamberlain ma che, realizzati 45 anni dopo, sono probabilmente un unicum per il periodo. Stanotte Bryant dice stop: questo sarà dunque un giorno lungo nel quale celebrarlo nel migliore dei modi.



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