Phil Jackson dà il benservito a Carmelo Anthony. “Mi ha detto che vuole restare a New York, ma io credo sia ora che cerchi un’altra squadra”. Queste le dichiarazioni riportate da ESPN: il presidente dei Knicks si prepara alla grande rivoluzione e potrebbe scaricare il suo uomo franchigia. Non solo: l’allenatore più vincente nella storia dei playoff, titolare di 11 titoli (6 con Chicago, 5 con i Los Angeles Lakers) e vera e propria leggenda in panchina, ha in mente di scambiare anche il lettone Kristaps Porzingis, accolto tra i fischi al draft NBA di due anni fa ma poi diventato giocatore di riferimento nella Grande Mela. A meno di 24 ore dalla notte delle scelte, New York rischia di cambiare pelle: non sarebbe certo la prima volta. Nel 2010 un certo LeBron James era free agent: tante squadre provarono a scommettere su di lui e liberarono spazio salariale per accoglierlo. Su tutte i Knicks, che smantellarono la squadra (veniva da un record di 29-53) ma rimasero con le pive nel sacco, perchè il Re andò a giocare a Miami. Il piano di riserva fu attuato il febbraio seguente: via (a Denver) Raymond Felton, Wilson Chandler, Danilo Gallinari e Timofej Mozgov, centro Melo (più Chauncey Billups e altri) che era stato la terza scelta assoluta nel draft 2003, quello di LeBron (e di Darko Milicic alla 2, ma questa è un’altra storia). Il resto è storia: Anthony è un realizzatore straordinario, capace di superare i 20 punti di media in ogni singola stagione al netto della sua seconda (fece 20,8) ed è unanimamente riconosciuto come uno dei giocatori offensivi più letali della Lega, presente anche a rimbalzo (in carriera ha 6,6 di media). Il problema? Con lui New York ha giocato i playoff nelle prime tre stagioni, solo una volta ha superato il primo turno (nel 2013, venendo eliminata da Indiana) e negli ultimi quattro anni ha mancato la post season, non superando le 37 vittorie e arrivando addirittura all’imbarazzante 17-65 del 2014-2015. Ovvero: nel corso degli anni Carmelo Anthony si è fatto la fama di giocatore poco decisivo per le sorti di una squadra NBA. Non è il solo, intendiamoci: è un problema spesso e volentieri diffuso, dicevano così anche di un certo Kobe Bryant (che, ancora oggi, è “accusato” di aver avuto bisogno di Shaquille O’Neal prima e Pau Gasol poi per vincere).
C’è poi dell’altro: spesso e volentieri nella NBA i progetti sono a breve scadenza. Si mette in piedi una squadra, la si testa, se non funziona si cambia. Questo apre a riflessioni più ampie (e complicate) sul salary cap, sul monte ingaggi e quant’altro: per intenderci, se i Golden State Warriors riusciranno a rifirmare Andre Iguodala (MPV delle Finali 2015) sarà solo perchè Kevin Durant ha accettato di decurtarsi l’ingaggio rispetto a quanto avrebbe dovuto percepire. Sono logiche non immediate, ma una cosa è chiara: i New York Knicks sono arrivati a un punto per il quale devono in qualche modo rivoluzionare il roster. A dirla tutta, dalle parti del Madison Square Garden l’addio di Anthony è atteso da tempo; per quanto si diceva prima, è ormai evidente che il prodotto di Syracuse non sia – almeno da solo – l’uomo giusto per tornare a far sognare la Grande Mela cestistica. Le critiche, Phil Jackson le sta più che altro ricevendo per l’affare Porzingis: arrivato come oggetto misterioso nel 2015, con la quarta scelta assoluta, non è stato accolto bene da un pubblico di palati fini che in passato aveva fischiato anche la selezione del nostro Gallinari. Tuttavia il ventunenne di Liepaja si è subito imposto nella NBA, tanto da entrare in lizza per il premio di rookie dell’anno (stravinto comunque da Karl-Anthony Towns) e chiudere la sua seconda stagione nella Lega con 18.1 punti, 7,2 rimbalzi, 2 stoppate e il 45% dal campo (35,7% da oltre l’arco). Un giocatore sul quale costruire, magari affiancandogli qualche star secondo il concetto tanto in voga del superteam; tuttavia tra lui e Phil Jackson è rottura prolungata da tempo, causa un paio di tweet nei quali il giovane lettone ha prima ironizzato sul difficile momento dei Knicks e poi ha strizzato l’occhio ai Los Angeles Clippers. Messaggi subito cancellati, ma ovviamente notati dal grande pubblico. Cosa succederà dunque nella notte del draft NBA? New York ha l’ottava scelta, ma questo si prospetta come un draft poco profondo; difficile che con quella chiamata possa arrivare un giocatore in grado di cambiare i destini, e allora l’ottava scelta potrebbe essere scambiata.
Per quanto riguarda Anthony, il giocatore ha certamente mercato: ha 33 anni e non è più ai suoi massimi livelli, ma sembra essere l’addizione giusta per una squadra già formata o alla quale manchi il collante di esperienza per prendersi il titolo. Certo, Melo si trascina svariati problemi: il fatto che sia prettamente un giocatore di isolamento è uno di questi, anche se il trionfo totale dell’addizione Durant+Warriors deve far pensare che l’alchimia possa essere trovata. In passato c’era chi sosteneva che nell’estate 2018, quella in cui LeBron James sarà free agent, Anthony sarebbe potuto finire ai Lakers insieme al Prescelto, andando così a formare una super squadra a caccia dell’anello. Sembra essere più fantabasket che altro (all’epoca i due andranno per i 34-35 anni); a New York intanto sarà una notte caldissima seguita da un’estate ancor più rovente. Scaricare adesso Carmelo ha un senso, liberarsi di Porzingis assolutamente no; tuttavia, dice chi scrive, le mosse si valutano sempre con il senno di poi. All’epoca della famosa trade che portò Pau Gasol ai Lakers, per esempio, si disse che a Memphis fosse rimasta solo sabbia nel pugno; alcuni di quei granelli però si tramutarono in Marc Gasol, che all’epoca era un giovanotto mai sbarcato nella NBA e oggi è uno dei centri più dominanti della Lega. Ci volle del tempo, come ci vorrà eventualmente tempo per vedere concretamente gli effetti della rivoluzione a New York; il problema è che sarebbe l’ennesimo voltafaccia di una franchigia storica che non vince dagli anni Settanta, e che ha fretta di tornare a farlo. Per il momento possiamo dire che Phil Jackson ha fatto meglio in panchina che dietro la scrivania, pronti a essere smentiti.