Confesso di essere uno storico “casciavit” (così a Milano si distinguevano i tifosi del Milan dai “bauscia” interisti), ma mentre mi incamminavo, in una soleggiata Buenos Aires, verso gli studi di una radio, normalmente dedicata a cronache giudiziarie, dove ero stato chiamato per parlare anche della telenovela interista che riguarda Icardi, pensavo con piacere a quanto il mondo del calcio da me vissuto con passione rappresentasse quasi un circolo intellettuale, comparato con quello odierno. Erano i tempi del “Paron” Rocco, inventore del catenaccio e padovano di ferro, famoso per aver detto a un calciatore di intervenire sull’avversario: “Se poi ciapi el balon, pazienza”. Oppure di quello che, sempre allenatore, può essere definito come il papà di Sacchi per il suo concetto di calcio totale: il “mitico” paraguaiano Heriberto Herrera, omonimo del grande Helenio e inventore del “movimiento”. Già, pensieri di quello che, nonostante la passione, era sempre un gioco: difatti smisi di frequentare San Siro nel dicembre del 1977, quando durante un Milan-Varese vidi un tifoso tirar fuori una pistola e sparare colpi per aria per celebrare un gol.
Brutto episodio, ma anche inizio di un calcio che con il tempo è radicalmente cambiato fino ad arrivare, nell’epoca in cui l’apparenza conta più dell’essere (sponsorizzata da quel mezzo che a breve apparirà elencato nell’anatomia umana che si chiama cellulare), a toccare e superare dei limiti che ormai rischiano di banalizzare anche un totem che (giustamente) resiste: quello del concetto di squadra e di società come principio basico di appartenenza a un club. La questione Icardi nell’Inter costituisce un esempio che, se non gestito in tempo, rischia di fare terra bruciata nell’intero mondo del pallone, già sensibile agli umori e alle baruffe dei social.
In Argentina da anni il “futbol” sta prendendo una bruttissima piega: dagli scandali che hanno attraversato l’AFA (la Federazione nazionale) che a un certo punto è stata commissariata ed è da anni nelle mani di un Presidente incapacissimo ( il “Chiqui Tapia”) fino al fatto più pericoloso, ossia il potere gigantesco che i “barrabravas” (in pratica gli ultrà) hanno nei rispettivi club di appartenenza, trasformatisi in un potere veramente delinquenziale che non solo gestisce biglietti e benefits, ma manovra traffici di mano d’opera e stupefacenti, trasformandosi anche in forza armata in affitto al potere politico, con il compito di fomentare incidenti, proteste e manifestazioni di vario genere.
Pur nella gravità estrema di questo contesto – che ha raggiunto l’apice nel trasferimento della finale di Copa Libertadores, tra Boca Juniors e River Plate, nella Madrid città capitale dell’ex Impero dei Conquistadores, una vergogna che però non è stata minimamente avvertita dagli “hinchas” delle due squadre che, in barba alla crisi che coinvolge l’Argentina, sono corsi in massa allo stadio Bernabeu, teatro della partita -, il calcio in Argentina prosegue nella sua tradizione di sfornare giovani calciatori sicuramente con una percentuale di potenziali campioni interessante. Questo perché, al contrario di quello italiano che ormai dei vivai nostrani non si interessa proprio (e si vede nei risultati della nostra Nazionale) qui, pure per ragioni economiche, il vivaio ha ancora un’importanza grandissima. Icardi è uno dei tanti prodotti di questo fenomeno “for export” che però, rispetto ad anni fa, per l’influenza di impresari e manager calcistici, ha provocato un fenomeno mercantilistico che si riflette sull’impossibilità di formare una Nazionale competitiva perché è quasi impossibile creare un gruppo, fare squadra in poche parole. Insomma, puoi avere in una squadra di potenziali Messi e farli giocare con l’originale, ma la mancanza di un leader vero e gli interessi vari partoriscono Armate Brancaleone varie, seppure formate individualmente da fenomeni.
Seppur da milanista, mi spiace dirlo: Icardi è un gran giocatore con un bel senso del gol e della porta, ma vittima di un sistema che, attraverso l’uso dei social, lo ha di fatto allontanato da quella sacralità che ancora esiste in molti club “storici” e che ha generato dei campioni veri che alla fine si sono trasformati in simboli di una squadra. Occhio, l’attaccamento alla maglia è diventato anche da noi in Italia una chimera, ma il rispetto per un club di appartenenza è ancora un elemento importante che i tifosi considerano molto… e le società anche.
Wanda Nara è sicuramente intelligente oltre che bella: ha saputo costruirsi un personaggio con il quale, come tanti che popolano il variegato mondo di internet, ha costruito un potere che però ha creduto essere illimitato e in grado di fare squadra (non in senso di omogeneità, ma in quello di proprietà seppur fittizia). In questo ha sbagliato tremendamente, ma ha fatto pure capire che il suo compagno è lontanissimo dall’essere un leader, un capitano nel vero senso della parola.
Dopo tutta la commedia fatta di pianti e dichiarazioni di vario genere in quella che pare una brutta riedizione della commedia dell’arte, le ultime notizie sono quelle di un allontanamento da una società che giustamente ha posto limiti a un fenomeno che rischiava di spaccare la squadra. Ma qui viene il difficile: seppur bravo, potrà Icardi cambiare maglia? Credo di no, a meno che la nuova società non ponga quei limiti che ormai paiono apparire in tutti i club importanti. Quindi, anche per non rimanere fuori rosa, cosa che ne svaluterebbe il valore, a Icardi conviene rientrare e iniziare, in un ambiente che già conosce, ma con altri principi, lasciando alla moglie il gioco dell’influencer, ma riappropriandosi lui di quello del pallone, nel quale, a quanto pare, deve ancora crescere.