Oggi per certi versi i regolamenti della Formula 1 sono strani, sembrando volti quasi a privilegiare la “casualità” o la “estemporaneità” della soluzioni piuttosto che il lavoro, la costanza e la ricerca della perfezione che, nel passato, sono stati marchio di fabbrica dei grandi campioni. I piloti, storicamente, si sono sempre divisi in due categorie: nella prima stavano quelli che prendevano in mano la macchina e senza bisogno di provare granché non facevano altro che seguire il flusso del loro talento, il loro istinto di guida, prendevano il volante e vincevano. Altri invece costruivano i propri successi sulla tenacia, sulle doti da collaudatore e sulla conoscenza delle macchine. Appartenevano al primo gruppo di “talenti” Jim Clark, Nigel Mansell o James Hunt. Al secondo Graham Hill, Niki Lauda o Alain Prost. Spesso perfino i roster delle scuderie erano costruiti proprio per mettere “insieme” questo due “tipi umani” nella stessa squadra. A Lauda fu affiancato Regazzoni, il suo opposto. Ad Andretti, meticoloso fino alla maniacalità, Ronnie Peterson che avrebbe guidato anche un trattore esattamente come avrebbe fatto con una macchina da corsa, con la sua “sensibilità” naturale. E la Ferrari fece bingo con la assortita coppia Scheckter-Villeneuve. E poi è accaduto, per qualche congiunzione astrale, che ogni tanto nascesse chi sapeva mettere insieme le due cose: talento, velocità, tenacia, applicazione, lavoro. Il risultato era il supercampione. Quello del quale ce ne sono pochi nella storia: Fangio, Senna, Stewart, forse Schumacher. Ma non vi tedio più con le reminiscenze del passato perché voi avete certo approcciato questo articolo come analisi dei risultati delle prove di Silverstone, disputate nella settimana appena passata e che costituiva una delle poche possibilità per le scuderie di effettuare sessioni di prova nel corso della stagione al di fuori degli appuntamenti ufficiali in calendario. La lunga – perdonatemi – introduzione era solo per cavalcare una tesi: oggi sembra che, sull’altare della spettacolarità, ormai tutto sia sacrificabile, anche la capacità di messa a punto, la sensibilità della macchina e delle sue singole parti, sempre considerato come l’essenza vera di un pilota, quasi attentando alla sua completezza e togliendo una dimensione, storicamente fondamentale, che sembra sempre più spesso demandata alla galleria del vento o al computer. La pensano così molto probabilmente Fernando Alonso e Kimi Raikkonen che, infatti, hanno disertato l’appuntamento sulla storica pista inglese ritenendo inutili i test: il motivo del contendere è semplice. Per regolamento, i piloti titolari del team possono girare in pista senza intervenire in alcun modo sulle regolazioni della vettura o sulla sua aerodinamica, ma solo sulla pressione e la mescola dei pneumatici. Prove e sperimentazioni per lo sviluppo della vettura erano invece riservati ai “terzi piloti” o comunque a giovani collaudatori che ogni team era libero di schierare. Non per niente la sessione era un “Young Driver Test”. Tant’è, lo spettacolo ne giova, lo sport non si sa. Anche per questo la lettura dei risultati dei test non è semplice né, al di là delle note di colore, particolarmente significativa. Sebastian Vettel – tra parentesi, uno che si colloca probabilmente tra i grandissimi della storia di questo sport a prescindere da tutto – si è messo facilmente tutti dietro nell’ultima sessione di prove che, a parte Felipe Massa, Jean-Eric Vergne e il trio da “fondo griglia” Pic-Van der Garde-Bianchi, non proponeva piloti titolari in pista. Se l’obiettivo era verificare che le gomme Pirelli non cominciassero ad esplodere come successo durante il Gran premio di Gran Bretagna, allora è stato raggiunto. Se invece ci si aspettava qualcosa di nuovo da mescole e battistrada, Vettel si è limitato a notare come non ci siano state particolari differenze rilevabili rispetto al materiale del Nurburgring. Come a dire che la Red Bull è forte e veloce a prescindere dal circuito e che lui è tranquillo e sicuro di sé esattamente come lo era prima. Anche la dichiarazione di Massa sugli pneumatici che sembrano per lui “migliori” che in passato, suona più come una speranza che un rilievo tecnico. La Ferrari ha completato oltre 4 GP-equivalent con il giovane Davide Rigon, dimostrando una incoraggiante affidabilità – importante ma meno decisiva di un tempo – ma senza apportare significative novità sulla vettura. In Ungheria si vedrà quindi pressoché la stessa Ferrari del Nurburgring. Per il resto le notazioni interessanti non sono molte. Partiamo da Daniel Ricciardo che è andato fortissimo sulla Toro Rosso e ancora più forte in veste di “collaudatore” sulla Red Bull. Molti vedono in questa sua performance la prova generale del prossimo anno, quando il giovane australiano sarà uno dei candidati più autorevoli a rilevare il posto lasciato libero dal suo connazionale Mark Webber che ha già annunciato il divorzio dalla “scuderia in lattina”. Interessante poi la parata dei figli d’arte impegnati in pista con risultati in molti casi più che discreti: Nicolas Prost, attualmente in endurance con il team Rebellion, ha girato con buoni ritmi per la Lotus mercoledì e venerdì, alternandosi con Davide Valsecchi, che si conferma in questo momento il pilota italiano con più chance di entrare da titolare nel circus nel prossimo futuro. Sensazione hanno destato anche gli ottimi tempi di Carlos Sainz Jr., figlio del pluricampione mondiale di rally che è stato sempre tra i più veloci in pista sia con la Toro Rosso che con la Red Bull. Mercoledì con la STR8 è andato in pista anche Johnny Cecotto Jr., figlio del campione venezuelano di motociclismo che vide la sua carriera in F.1 stroncata da un grave incidente quando era compagno di Senna alla Toleman nel 1984. Ultima nota per le quote rosa che, dopo le disavventure di Maria De Villota nella scorsa stagione, sono state ristabilite da Susie Wolff, moglie dell’amministratore delegato della Mercedes AMG F1 Toto e scesa in pista venerdì come collaudatore Williams con discreti risultati. Per il resto, rimane l’attesa per il GP di Ungheria e la sensazione che, come sempre, si giocherà una partita completamente nuova e, in parte, imprevedibile. (Massimo Piciotti)



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