Un metro e sessantacinque per cinquantasette chili. Non certo un fisico appariscente. Eppure, il modo con cui quel minuto pilota dominava quei bolidi irrequieti e pericolosi che erano le prime auto da corsa, è rimasto inarrivabile. Tazio Nuvolari è da molti considerato il più grande pilota di ogni tempo: coraggioso fino ad irridere il pericolo, fulmineo nei riflessi, astuto nella condotta di gara e, come si conveniva allora, irreprensibile e cavalleresco. Difficile cimentarsi in paragoni, dato anche che l’apice della sua carriera fu negli anni ’30, lontanissimi nel tempo ma anche nella concezione delle corse rispetto ad oggi. Certo è che Nuvolari è una leggenda, ancora popolarissima, ispiratore di canzoni e racconti. Citiamo qui solo i suoi numeri: 353 corse disputate, 107 vittorie, 99 giri più veloci, cinque primati internazionali di velocità, sette volte Campione d’Italia, trenta anni in pista – seppur cinque “mangiati” dal Secondo Conflitto Mondiale – e di questi, ben dieci contemporaneamente in auto e in moto. Intorno a lui sono fioriti miti e leggende come con nessun altro pilota nella storia dell’automobilismo: si dice anche che abbia subito sette incidenti mortali, sopravvivendo. Nel 1925 cadde durante le prove del GP motociclistico di Monza e si ruppe entrambe le gambe; meno di una settimana dopo, contro il parere dei medici, salì sulla sua Bianchi con le gambe ingessate sorretto dai meccanici, corse la gara e vinse. Durante la Mille Miglia del 1930 guidando durante la notte con i fari spenti raggiunse Achille Varzi, lo sorprese a tre chilometri dal traguardo accostandoglisi improvvisamente: sorrise al suo compagno di squadra, gli lampeggiò, lo sorpassò e andò a vincere. Nel 1931, al circuito delle Tre Province, durante la gara Nuvolari superò un passaggio a livello a velocità sostenute, riportando la rottura della molla di richiamo dell’acceleratore della sua Alfa Romeo 1750. Per proseguire la corsa, una gara a cronometro, Nuvolari guidò controllando sterzo, freno e frizione mentre il meccanico Compagnoni regolava l’acceleratore, tramite la cintura dei pantaloni fatta passare attraverso il cofano. Nonostante questa tecnica di guida ai limiti del praticabile, Nuvolari vinse la gara superando un incredulo Enzo Ferrari di 32 secondi. Il 1933 lo vide andare in Irlanda del Nord per partecipare al Tourist Trophy alla giuda di una MG K3 Magnette Turbo. Dopo aver dominato tutta la gara, qualcuno gli chiese se gli fossero piaciuti i freni della MG. “Non saprei dire” rispose Tazio “non è che li abbia usati un granché”. Nel 1935, nel Gran Premio di Germania sulla pista di oltre venti chilometri del Nürburgring, Nuvolari si impose guidando un’Alfa Romeo nettamente inferiore alle potenti vetture tedesche in gara, con una fantascientifica rimonta dopo essere rimasto attardato nella sosta per il rifornimento di benzina: ancora all’inizio dell’ultimo giro aveva un ritardo di 30 secondi dal primo; narra la leggenda che gli organizzatori, non trovando il disco con la Marcia Reale – l’inno nazionale italiano dell’epoca – lo sostituirono con quello di ‘O sole mio. E si potrebbe andare avanti all’infinito. Nuvolari nacque da una famiglia di contadini vicino nel borgo di Casteldrio, presso Mantova, e fu avvicinato alla passione delle moto dallo zio che commerciava le Bianchi. Iniziò a correre solo nel 1920 a 28 anni e nel 1924 si cimentò anche con le quattro ruote. Nel ’46, anno di istituzione della Formula Uno, Nuvolari aveva già 54 anni ed era minato dalla malattia che lo avrebbe portato alla morte solo sei anni dopo: la cosa non gli impedì l’ultimo acuto della carriera ad Albi con una Maserati. Nella sua ultima gara, il 15 aprile 1950, a Monte Pellegrino, vinse la sua categoria su una Cisitalia. Il “Mantovano volante”“Great Little Man” per i britannici o semplicemente “Il Campione” per i tedeschi – morì nella natia Mantova l’11 agosto 1953, esattamente 60 anni fa, stroncato dalla malattia polmonare che lo aveva colpito dieci anni prima e causata dai gas di scarico inalati nel corso della sua carriera. Ferdinand Porsche lo definì: “Il più grande pilota del passato, del presente e dell’avvenire”.



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