“Se Nigel è in giornata e ha l’auto giusta, è impossibile cercare di tenerlo dietro. Ti sorpasserà, anche sopra la testa, ma ti sorpasserà”. Questa frase non l’ha pronunciata uno qualsiasi, ma un certo Ayrton Senna e rende bene l’idea del rispetto e della considerazione di cui Nigel Mansell, il “Leone d’Inghilterra” uno dei più popolari e generosi piloti che la storia ricordi, godeva anche presso i suoi colleghi. E questo anche in faccia ai continui attacchi che i suoi detrattori, specie i soloni del giornalismo specializzato britannico, continuavano a fargli evidenziando i suoi difetti soprattutto tattici, veri per carità, ma assolutamente superati dalla audacia, dalla grinta e dal temperamento che ne hanno fatto il pilota inglese più vincente della Storia della Formula Uno. Nigel Mansell, originario del Worchestershire, compie sessant’anni e per chi ricorda bene i suoi baffi in pista, il tempo sembra davvero volato. Fra le sue trentuno vittorie, memorabili furono quelle a Silverstone nel 1987 dopo un sorpasso con una finta da cineteca su Nelson Piquet, o a Budapest nel 1989 con la Ferrari, dopo una furiosa rimonta dal dodicesimo posto in griglia conclusa con uno spettacolare sorpasso su Senna nel finale, o ancora a Barcellona nel 1991 con un altro sorpasso mozzafiato su Senna durato più di un chilometro sul rettilineo d’arrivo con le macchine che appaiate quasi si sfioravano a più di 300 km/h, una sequenza che divenne una leggendaria icona di quegli anni di gare. Il suo sguardo così inglese, il suo coraggio fuori dal comune, il suo provarci sempre fino all’ultima curva, il suo odio per i ragionamenti tattici, la sua passione per i duelli, il suo correre sempre e unicamente con il cuore solo per il piacere di regalare e regalarsi forti emozioni sono i tratti che hanno reso Nigel Mansell uno dei campioni più amati della storia della Formula 1. L’automobilismo, si sa, è spesso uno sport per giovani ricchi che assecondano la loro passione grazie ai mezzi a disposizione. Ma alcuni, quelli che ti accorgi subito che hanno “fame” davvero, spesso non hanno queste origini: non le aveva Gilles Villeneuve e nemmeno Nigel Mansell. Lui era un uomo del popolo – quello orgoglioso e colto, era infatti laureato in ingegneria – ed sempre è rimasto tale fino alla fine, e forse anche per questo fu spesso inviso alla aristocratica tradizione motoristica inglese. Quando nel 1978 debuttò in F.3, la sua scuderia gli affidò una March a patto che avesse trovato degli sponsor. Nigel si era appena sposato ma vendette la casa per finanziarsi la stagione. Fece la Pole alla sua prima gara ma gli sponsor non arrivavano e si trovò a piedi. Finì praticamente sul lastrico e si mise a lavorare come lavavetri. Fu “salvato” da un contratto con la scuderia di David Price ancora per la F.3, un accordo che prevedeva per Nigel addirittura uno stipendio perché doveva lavorare come rappresentante commerciale per la Unipart, lo sponsor del Team. Fu un anno memorabile e con la sua March dalla bellissima livrea “Very British” vinse una sensazionale gara sotto la pioggia a Silverstone battendo Andrea De Cesaris ed Eddie Jordan. Ovviamente la svolta della sua carriera fu l’incontro con il suo vero mentore: Colin Chapman. Come siano andate le cose è davvero singolare: per la prestigiosa gara di Monaco, Nigel noleggiò con la moglie un vecchio camper non avendo i soldi per l’albergo, corse e fu il migliore degli inglesi, cosa che lo fece notare dall’osservatore della Lotus Peter Collins. Ebbe un grave incidente ad Oulton Park verso fine stagione, ma quando fu contattato dalla Lotus per alcuni test invernali, negò l’incidente, si imbottì di antidolorifici e fece i test in Francia. Chapman scelse Elio De Angelis come pilota titolare e Stephen South come riserva, ma quando questi cominciò a voler modificare alcuni termini del contratto, Chapman diede il posto di terzo pilota a Nigel. Fu così che esordì nel 1980 al volante della Lotus. Il resto è storia ed è assolutamente arcinota: gli anni della Lotus senza vittorie che sembravano classificarlo definitivamente fra le promesse non mantenute, il passaggio alla Williams che fu una sua felice intuizione – aiutata forse dai felici trascorsi in F.2 con il motore Honda – e che ne rivelò lo straordinario carattere mutando il suo soprannome da “Mansueto” – come lo chiamavano nei primi anni in Lotus – a “Leone”, le prime vittorie, i due titoli incredibilmente e inopinatamente persi nel 1986 e 1987 quando sembravano ormai a portata di mano; e ancora il passaggio alla Ferrari e il difficile rapporto con Alain Prost, il secondo ritorno alla Williams e finalmente, a 39 anni, il meritatissimo Titolo Mondiale 1992 con una stagione dominata come poche altre volte capitò, da nove vittorie e quattordici pole position in sedici gare. Ancora due tratti che chiariscono ulteriormente la classe pura di Nigel: nel 1993 lasciò la Formula Uno e a quarant’anni suonati debutto nel Campionato CART americano con il team di Paul Newman e Carl Haas. Come finì? Ovviamente con il Titolo di Campione, Rookie of the Year, sette poles, cinque vittorie ed il rammarico di un terzo posto ad Indianapolis davvero sfortunato. Nel 1994 Frank Williams, in una stagione segnata dalla morte di Ayrton Senna, lo chiamò a sostituire l’infortunato David Coulthard nelle ultime gare stagionali. Nigel, che era già praticamente “in pensione”, prese il volante, fu quarto a Suzuka e vinse dominando l’ultima gara stagionale ad Adelaide, partendo dalla pole. Poteva bastare. Nigel si ritirò dalle competizioni – se si eccettua un poco fortunato “cameo” con la McLaren nel 1995, a 42 anni, intraprendendo una carriera da commentatore televisivo e dedicandosi alla sua seconda grande passione, il golf.