Michael Schumacher è sempre ricoverato in coma all’ospedale di Grenoble e più passano i giorni, più si rafforza la speranza che il campione tedesco vinca la lotta che lo vede sospeso tra la vita e la morte. Ora che si sono spente le luci dell’attenzione dei mass media (rispettando anche la volontà della famiglia), che seguiranno solo le notizie ufficiali che arriveranno tramite i medici oppure i familiari e la portavoce di Schumi, inizia una nuova fase di quello che per il sette volte campione del Mondo e per i suoi cari sarà un cammino ancora molto lungo, e non più semplice di quanto fatto finora. Amici e parenti continuano ad alternarsi all’ospedale francese, per vegliare su Michael e stare vicini alla moglie e ai figli (che per fortuna abitano in Svizzera a circa due ore di macchina dalla città francese), e le domande sul futuro sono ancora tante: fino a quando Schumacher sarà mantenuto in coma indotto? E cosa succederà quando i medici proveranno a risvegliarlo? Sarà questo un momento cruciale, perché soltanto allora si capirà se e quali danni permanenti avrà riportato Schumi nell’incidente sulle nevi di Meribel. I medici per ora non si sbilanciano: per il risveglio potrebbero bastare ancora alcuni giorni, ma l’attesa potrebbe prolungarsi anche per diverse settimane.



Michael Schumacher è sempre ricoverato in coma all’ospedale di Grenoble, e nel frattempo continuano anche le indagini sull’incidente di cui è rimasto vittima lo scorso 29 dicembre sulle nevi di Meribel. In particolare, continua a far discutere il fatto che nell’impatto contro la roccia si sia rotto il casco, comunque fondamentale per attutire un impatto che altrimenti sarebbe stato molto probabilmente mortale. Però, molti si chiedono come si sia potuto rompere il casco se davvero Schumi stava viaggiando ad una velocità consona per uno sciatore esperto, come ha detto il procuratore di Albertville nella conferenza stampa di mercoledì. Una risposta arriverà dal laboratorio della Scuola Nazionale di sci e alpinismo di Chamonix, al quale il casco è stato inviato perché venga esaminato. Il ruolo di questo ente è infatti quello di analizzare gli incidenti in montagna al fine di creare protocolli di prevenzione, e il laboratorio testa abitualmente i materiali utilizzati da sciatori e alpinisti. Il direttore della scuola, Bruno Bethune, ha dichiarato al quotidiano locale Dauphine libéré: “La decisione del giudice è una dimostrazione di fiducia nei nostri confronti”. Per ora naturalmente c’è ancora il massimo riserbo sulle analisi.



L’incidente di cui è rimasto vittima Michael Schumacher è stato dunque solamente una fatalità. Ora le luci dei riflettori si stanno spegnendo, pur se l’attenzione di tifosi e appassionati resta alta per sapere le notizie relative al sette volte campione del Mondo di Formula 1, ma la Bild si è chiesta come si reagisce a incidenti di questo genere. Ecco come ne ha parlato lo psicologo Michael Thiel: “Una persona che ha un incidente senza colpa, spesso cerca di spiegare la situazione in qualche modo. Dice, per esempio, che tutto era ‘uno sfortunato incidente’ o ‘il fato’ o ‘sono stato sfortunato’. Tutto questo può essere vero, ma per la psiche queste ragioni sono insoddisfacenti. Ci si chiede infatti ‘E’ stata colpa mia’ oppure ‘Non è stata colpa mia’ o ‘Non ho potuto fare nulla’. L’obiettivo della psiche è quello di imparare dall’incidente al fine di evitare errori in futuro”. Problema che naturalmente non si pone ancora per Schumi, che attualmente è ancora ricoverato in coma presso l’ospedale di Grenoble, ma la situazione certamente non è facile nemmeno per i familiari, che in un certo senso forse si troverebbero meglio se la responsabilità fosse attribuibile a qualcuno (ad esempio i gestori della pista) piuttosto che semplicemente a una casualità. Prosegue Thiel: “Sperare di trovare un colpevole è profondamente umano, soprattutto per i parenti delle vittime di incidenti. Non si può fare nulla dal punto di vista medico, agire in giudizio è una forma indiretta di fare qualcosa di buono per le vittime. E’ così anche per i parenti delle vittime della criminalità: vogliono vedere in carcere l’autore del reato, pensando che poi si inizierà a sentirsi meglio. Questa è la loro speranza. Se il colpevole è giudicato colpevole, è una forma di sollievo sufficiente per la rigenerazione della psiche, che dopo un incidente è fuori equilibrio perché nulla sembra essere più prevedibile e controllabile. L’uomo ha bisogno di avere la sensazione che il mondo è sicuro e prevedibile. Senza questo, vive nella paura permanente. Questo può essere visto ad esempio nelle vittime di incidenti sciistici, per i quali tornare sugli sci è un grande sforzo. Le vittime e le loro famiglie non devono cancellare l’esperienza, ma parlarne e quindi elaborare la realtà. Se non si riesce da soli, non si deve esitare a chiedere aiuto psicoterapeutico”.

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