E’ tornato a parlare il dottor Gary Hartstein, l’ex medico del circuito della Formula 1 che sul suo blog formerf1doc ha costantemente aggiornato sulle condizioni di salute di Michael Schumacher, più che altro per dare il suo parere professionale non facendo parte dell’equipe che dallo scorso 29 dicembre ha in cura l’ex pilota tedesco. “In tanti mi avete chiesto notizie sull’attuale stato di Michael” ha scritto Hartstein. “Ovviamente non ho informazioni dirette, e sono ancora convinto che se ci fossero notizie positive lo avremmo saputo; l’entourage di Michael, che giustamente è estremamente protettivo nei confronti della sua privacy (di Michael e personale), darebbero notizie positive ai fan. Perciò, come sempre, mi baso essenzialmente sulle pubblicazioni relative agli infortuni alla testa”. Quello che segue è un grafico che riguarda i pazienti osservati, quelli con infortuni al capo: quelli, ha precisato, che hanno un apparente stato di veglia (apertura degli occhi, qualcosa che assomigli a un dormiveglia) ma che non danno segni tangibili di coscienza. Bene: spostandoci verso destra nel grafico, si nota come dopo 6 mesi dall’infortunio (“ne sono passati 5, ma prendiamone 6 per comodità”) soltanto una piccola parte dei pazienti osservati torna cosciente. Di fatto, la cosa più probabile che possa accadere dopo questo periodo è la permanenza dello stato vegetativo o la morte. “La media di mortalità di questi pazienti è di circa il 25-30% l’anno”. Insomma: non sono notizie positive. “Se Schumacher fosse in un anche minimo stato di coscienza, allora le possibilità sarebbero superiori” aggiunge Hartstein; che ha poi detto come le indiscrezioni circa un ritorno a casa dell’ex pilota possano essere vere, “pur se non posso sapere se sia effettivamente così; ma non c’è ragione per pensare il contrario, potrebbe essere”. La conclusione, ad ogni modo, è triste, molto triste e quasi tragica: “Ho paura che non avremo più buone notizie su Michael”.
È in coma ormai da oltre cinque mesi, dopo l’incidente sugli sci subito sulle Alpi francesi lo scorso 29 dicembre. Una degenza così lunga ha naturalmente gravi conseguenze sul fisico di una persona, ed infatti secondo le ultime indiscrezioni in arrivo dall’ospedale di Grenoble (rilanciate dal quotidiano tedesco Bild) Schumi avrebbe perso una ventina di chili, passando da 73 a 53 kg. Il sette volte campione del mondo di Formula 1 avrebbe perso così tanti chili probabilmente sia a causa della massiccia quantità di sedativi che riceve, sia ovviamente per l’inattività dei muscoli. Il professor Curt Diehm, interpellato dal giornale tedesco, ha spiegato: “Perdere peso per i pazienti in coma è una cosa normale, ma i 20 kg che ha perso Michael sono troppi per una persona di corporatura media. La spiegazione principale porta alla muscolatura che in questi giorni si è lentamente ritirata”. D’altronde l’ex pilota della Ferrari si trova sempre in coma indotto. Le sue condizioni sarebbero stabili e l’ex pilota interagirebbe con l’ambiente esterno, stando alle ultime parole della sua portavoce e manager Sabine Kehm, che continua a tenere accesa la speranza, ma è anche vero che la scarsità di notizie ufficiali preoccupa i tifosi. Di recente, la Kehm ha parlato con il giornale spagnolo Mundo Deportivo: “Ha momenti di coscienza, nei quali dimostra di avere capacità di interagire con l’ambiente circostante”, ha spiegato. I rischi tuttavia sono molto alti. Secondo il giornale britannico Daily Express, ad esempio, alcuni esperti temono peggioramenti con l’ingresso nel sesto mese di coma indotto. Un esperto di una clinica di neuro-riabilitazione in Germania, interpellato in merito, ha dichiarato che più lunga è la fase di recupero e più grave è il danno cerebrale per il paziente, anche se ogni caso fa storia a sé: “Solo il 30% delle persone che sono finite in coma a causa di traumi cerebrali e poi si sono riprese ha poi potuto ricominciare una vita normale. Il 50% dei pazienti ha riportato problemi più o meno seri, mentre il 20% è stato costretto a combattere con gravi disabilità. E in questo 20% sono comprese quelle persone che hanno sofferto una fase di coma lunga più di 6 mesi”.